Schedine: Dellavite, Mazzolari, Cànopi

Giulio Dellavite, Se ne ride chi abita i cieli. L’abate e il manager: lezioni di leadership fra le mura di un monastero, Mondadori 2018. S’inserisce in un filone non povero di esempi il libro (il romanzo?) di Giulio Dellavite (che è un sacerdote, e non un monaco, e mi pare si senta), quello dei possibili parallelismi tra la Regola di san Benedetto e i trattati (o i manuali) di management, tra abate e manager: leadership, divisione dei compiti, pianificazione, obiettivi, squadra, «debolezze» che diventano «opportunità», e via di questo passo. Bloccato da un guasto alla sua auto, in mezzo alla campagna, proprio all’inizio di un sospirato week-end, un dirigente fin troppo tipico nei suoi tratti e modi si ritrova a passare una notte e una mattina in un monastero, in attesa di potersi rimettere in marcia verso i suoi impegni. Coro, sala capitolare, biblioteca, refettorio, infermeria: il manager verrà accompagnato dall’abate e dagli altri monaci in una visita ai vari ambienti, e ogni luogo sarà l’occasione per una conversazione (e per storielle, citazioni e aneddoti in gran copia). Non inaspettatamente, cellulare infine ben carico e auto riparata, il nostro se ne andrà, pensando di essere un po’ cambiato.

Primo Mazzolari, Lettere a una suora, La Locusta s.d. (ma 1961). Un piccolo fascicolo di lettere di don Primo Mazzolari a una religiosa rimasta anomima, risalenti soprattutto agli anni 1926-34, spedite quindi dalla parrocchia di Cicognara, prima, e di Bozzolo, poi. Una nota informa che le lettere giunsero all’editore accompagnate da queste parole, che ho trovato commoventi: «Sono una povera suora. Casualmente, lessi su un giornale che La Locusta sta raccogliendo le lettere di don Primo. Io ho un epistolario, che va dal 1926 al 1954. Ve lo mando. Anche per partecipare ad altri del bene che ho ricevuto da don Primo…» Ho un particolare interesse per gli epistolari tra persone «in religione», forse perché mi pare che, quasi sempre, in virtù del riferimento a una dimensione «ulteriore», vi siano assenti le scorie dei rapporti di potere e di genere. Poco importa, in fondo, che io non creda a quella dimensione se posso trovarmi al cospetto del colloquio profondo tra due individui. Qui il grande rammarico è che non siano riprodotte anche le lettere della religiosa, probabilmente perdute, onde poter scoprire quali richieste o confessioni abbiano suscitato certe frasi del sacerdote: «Per lei, come per tanti di noi che viviamo da anni in religione, non è più questione di luce, ma di obbedienza a occhi chiusi» (1926), «Non è una strada fatta, la vocazione, ma una strada da farsi, e col piccone» (1928), «Io la vorrei più suora che monaca, pronta a sopportare il peso dello stare insieme» (1928).

Anna Maria Cànopi, Chiamati ad andare oltre. Il cammino quotidiano della vita monastica, Nerbini 2018. La benemerita collana degli «Orizzonti monastici» ha ripreso le pubblicazioni, presso l’editore Nerbini, con una raccolta di scritti di m. Cànopi ricavati dai suoi corsi di formazione per le novizie. Diciassette riflessioni sugli aspetti in prevalenza spirituali della scelta di vita monastica, che la inseriscono in un quadro di riferimento non soltanto esistenziale e comunitario (ed ecclesiale), bensì anche universale e «persino cosmico» («Dobbiamo avere rispetto, devozione e affetto per questo impegno che ci caratterizza e ci identifica: siamo quelli che danno lode a Dio per tutti. […] Andando in coro, dobbiamo quindi pensare che ci uniamo alla schiera immensa delle generazioni umane del passato, ma anche quelle del presente e del futuro per camminare verso l’ultima ora della storia»). I lettori interessati – come me, al di là di qualsiasi grado di disaccordo – troveranno anche qui (anzi, qui forse più che altrove) lo stile e i temi inconfondibili di m. Cànopi, primo fra tutti lo scontro frontale e inesausto con quell’«assolutizzazione» o «divinizzazione» dell’io che nelle parole veementi della badessa pare assurgere a origine di tutti i mali.

 

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