Ora e sempre, Romualdo

Mi fa sempre piacere «ripassare» Romualdo, figura quasi unica di eremita intermittente e itinerante che i suoi stessi confratelli camaldolesi di oggi, a mille anni di distanza, non esitano a definire dai tratti paradossali. Così, leggendo a distanza ravvicinata tre saggi a lui variamente dedicati1, oltre a imparare tante cose, ho rinfrescato la simpatia che provo per lui: per la sua pungente irrequietezza che gli impedisce di restare a lungo nello stesso luogo; per il suo essere maestro involontario e soprattutto senza opere scritte e perlopiù silenzioso: «Sebbene con la lingua tacesse, egli predicava con la vita», scrive Pier Damiani, suo eccelso agiografo2; e ancora per i suoi molti fallimenti, se così li vogliamo chiamare, in varie iniziative; per la tragicità dello sguardo rivolto a se stesso, unito alla bontà e anche all’ironia di quello rivolto agli altri: «Sebbene il santo  mantenesse con se stesso una tale austerità», scrive ancora Pier Damiani, «mostrava sempre un volto ilare, sempre una faccia serena».

Mi piace il Romualdo santo di pochi miracoli, ma di tanti gesti singolari, concreti e simbolici. Un giorno un confratello va da lui lamentando un terribile mal di testa, Romualdo non si scompone e, «quasi prendendolo in giro, gioioso nel volto come era sempre, attraverso la finestra della cella gli soffiò sulla fronte e fece cenno a tutti gli altri che erano presenti di fare altrettanto»: e il dolore non c’è più. Un’altra volta un presbitero gli passa vicino addirittura urlando per il mal di denti: Romualdo gli guarda in bocca, tocca il punto dolente e gli dice: «Metti una lesina in una canna, perché non danneggi il labbro, e falla toccare qui, e così il dolore scomparirà» – «Nulla di prodigioso, una normale opera di medicina monastica» (Cantarella).

Mi piace il Romualdo che si nasconde, e che nasconde e dissimula le sue doti e i suoi doni, come quello delle lacrime (tra i più insondabili, per me). Riferisce ad esempio un suo confratello, con il quale recitava i salmi in una cella dell’eremo di Biforco, che «almeno tre volte nella notte, ma anche di più, Romualdo fingeva di andare per i bisogni della natura, poiché non poteva trattenere l’abbondanza delle lacrime che gli fluivano e i singhiozzi» – incontinente sì, ma di pianto!

Mi colpisce che Pier Damiani alla morte, avvenuta nel giugno del 1027, gli attribuisca l’età tutto sommato plausibile, per i suoi lettori, di centoventi anni (ne aveva settantacinque). Romualdo fu testimone del passaggio di almeno diciotto tra papi e antipapi, di cinque imperatori e di innumerevoli altre figure storiche: «Romualdo fu un uomo che avanzando negli anni vide morire, spesso prematuramente, molti tra i suoi conoscenti e discepoli. Questo personale anche se non raro destino, questa schiera di personaggi che si affacciarono sulla sua vita e velocemente scomparvero, può aver falsato l’idea della sua reale età nei discepoli dell’ultima fase della sua vita» (Fornaciari).

Tra l’altro, è proprio l’età avanzata che, sempre secondo Pier Damiani, destituirebbe di fondamento le accuse di peccato carnale che gli eremiti di Sitria rivolsero a Romualdo: «La cosa che lascia veramente stupefatti è che soprattutto degli uomini spirituali abbiano potuto credere che un vecchio decrepito, più che centenario, avesse potuto compiere un tale nefando crimine. Anche se ne avesse avuto la volontà [!], infatti, la natura, il sangue frigido e l’aridità di un corpo che aveva perso il suo vigore glielo avrebbero assolutamente negato». «Per Pier Damiani nessuno», commenta Cantarella, «proprio nessuno, nemmeno un santo, può dirsi al riparo dalla calunnia e dunque dalla verisimiglianza della tentazione.»

E infine mi piace il Romualdo massimalista che, forse amplificato dall’ancor più massimalista Pier Damiani, «mai contento dei risultati, mentre faceva alcune cose si affrettava a farne subito altre, tanto che si pensava che egli volesse convertire tutto il mondo in un eremo e associare tutta la moltitudine del popolo all’ordine monastico» – il cielo, e non soltanto quello, in una stanza!

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  1. Glauco Maria Cantarella, La «Vita Beati Romualdi», specchio del monachesimo nell’età di Guido d’Arezzo, in Guido d’Arezzo monaco pomposiano, Atti dei Convegni di Studio, Abbazia di Pomposa – Arezzo, 1997-1998, a cura di A. Rusconi, Olschki 2000, pp. 3-20; Lorenzo Saraceno, Pier Damiani, Romualdo e noi. Riflessioni di un camaldolese alle prese con i suoi auctores, in «Reti medievali» 11, 1 (2010), p. 283-308; Roberto Fornaciari, Elementi di contemplazione e mistica in Romualdo di Ravenna, in «Claretianum» 44 (2004), pp. 111-42.
  2. Vita del beato Romualdo, abate ed eremita, in Privilegio d’amore. Fonti camaldolesi. Testi normativi, testimonianze documentarie e letterarie, introduzione, traduzione e note a cura di C. Falchini, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2007.

 

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