Signorilità, note basse e domeniche pomeriggio (Reperti, 33-35: Campo; Larson; Cioran)

33. All’indomani del suo trasferimento in piazza Sant’Anselmo, a Roma, dove trascorrerà gli ultimi anni della sua vita, Cristina Campo scrive la sua penultima lettera1 a Leone Traverso. È il dicembre del 1965 e si avvicina un Natale ancora carico di lutto per la scrittrice, che ha perso non da molto entrambi i genitori. «Ma quassù», scrive Campo, «c’è una strana potenza negli uomini e nelle cose», una potenza forse legata alla presenza dell’abbazia benedettina, di cui lei sarà riconoscente «vicina di casa»2, e che «domina il colle e la nostra vita, con la sua meravigliosa atmosfera da medioevo tedesco, con i suoi perfetti cerimoniali gregoriani, soprattutto con una carità incessante, discretissima e indicibilmente signorile» (espressione che riporta alla mente la «signorilità benedettina» del cardinale Schuster).

34. Un bel riferimento al canto dei monaci si trova nella bella poesia che Katherine Larson dedica al nonno, morto da un anno, rievocando una loro visita a un monastero romeno3. La poetessa assiste a una specie di ufficio notturno: «Verso mezzanotte, i monaci cantarono / lungo azzurri corridoi di incenso / come sintonizzando il buio // alla nota bassa della loro devozione». Quando poi le viene detto che quella «messa» è in soccorso di Gesù che cade, Larson si accorge che «fino allora non sapevo / che i giorni fossero tenuti insieme dal canto. // O che ci si potesse prender cura / di quelli che soffrivano / millenni dopo la loro morte».

35. Tra l’altro, in esergo alla succitata poesia, Larson pone questa citazione da Cioran, tratta da Lacrime e santi: «Ci sono tristezze che mettono nell’anima di un uomo le ombre di un monastero», che arriva in tale forma suggestiva tramite l’inglese, poiché nella traduzione dal francese suona invece così: «Le tristezze proiettano sull’anima un’ombra claustrale»4. In Lacrime e santi, peraltro, Cioran dedica diverse osservazioni divulgative alla «tristezza dei monasteri» e al «chiostro che ciascuno di noi si porta nell’anima»; come questo riferimento al demone meridiano dell’acedia: «Questo disgusto, scaturito dal deserto del cuore e dalla pietrificazione del mondo, è lo spleen religioso. Non disgusto di Dio, ma tedio in Dio. Acedia è il pomeriggio delle domeniche vissuto nel silenzio pesante dei monasteri»5.

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  1. Di quelle pubblicate in Caro Bul. Lettere a Leone Traverso (1953-1965), a cura di M. Pieracci Harwell, Adelphi 2007. La lettera, del 21 dicembre 1965, è riportata alle pagine 132-33.
  2. Nell’aprile del 1968 Cristina Campo si trasferirà al numero 3 della stessa piazza, in «una casetta di inizio secolo, elegante, con un alto cancello e una corona di alberi: tre stanze spaziose, le cui finestre danno sugli orti dell’abbazia di Sant’Anselmo e su un giardino di modeste dimensioni» (Cristina De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Adelphi 20134, p. 140).
  3. Nonno all’aperto (Grandfather outside), in Le storie più mute, a cura di P. Federico, Interlinea 2016, pp. 22-27.
  4. Lacrime e santi, a cura di S. Stolojan, traduzione di D. Grange Fiori, Adelphi 1990, p. 22 (se non sbaglio, l’opera, scritta in rumeno, è stata comunque tradotta dal francese).
  5. Ivi, pp. 66-67.

 

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