«Il vizio e la grazia», di Hubert Wolf (pt. 2/2)

IlVizioelaGrazia(la prima parte è qui)

Anche nel caso di suor Maria Luisa ammetto che all’inizio mi è sembrata una figura che non emergesse dalla tipologia, se non per una particolare avvenenza, riportata da tutti, che si traduceva spesso in carisma. La stessa Katharina von Hohenzollern, la sua arcinemica, nella sua memoria prende le mosse proprio da lì: «Suor Maria Luisa ha ventisette anni e si trova nel convento dall’età di tredici anni. Ha una fisionomia molto preveniente ed una amabilità quasi irresistibile, la quale però ha più della secolare che della Vergine consacrata a Dio». Il ritratto è un piccolo capolavoro, per quanto viziato dal giudizio retrospettivo: una giovane che piace a tutti, che tutti amano assecondare, una subdola manipolatrice che dispone delle chiavi del monastero e della quale si percepisce la doppiezza, la «massima furberia», lo «spirito d’intrigo»; «tutto questo però», osserva Katharina, ancora incredula, «sembra coperto da un incantesimo misterioso».

A mano a mano che ho appreso la vicenda della vicaria, la sua statura di personaggio è cresciuta, fino a dimensioni, appunto, tragiche; sia per carattere proprio, sia per l’essersi trovata al centro di uno scontro molto più grande di lei. Il processo per lo scandalo di Sant’Ambrogio, e il libro che lo racconta, fissa suor Maria Luisa all’apice della sua «carriera», sulla cima del «sistema» che ha trovato entrando nel monastero e portato a perfezione, un vero e proprio bagliore tra due dense oscurità dolorose: quella della nascita povera e buia da un lato, quella della fine, dopo il processo, dall’altro (non si raccontano i finali dei legal-thriller). Un bagliore luciferino, di cui le testimonianze danno abbondante conto e che ho notato la prima volta durante la deposizione di suor Maria Gesualda, che era stata con lei in noviziato: «Maria Luisa fin da novizia mostrava gran desiderio di comandare, e diceva: “fammi maestra solo per un’ora, e rimedio a tutto”». E la vediamo infatti saldamente al comando, attorniata da una badessa che le deve l’elezione e che si tiene da parte il più possibile, da consorelle che la temono o le sono alleate, da novizie veneranti e pronte a qualsiasi obbedienza, da due padri confessori che l’inquisitore definirà «conniventi, conscii e complici della maggior parte degli addebiti, che si riportano nella presente causa» (il primo maledirà la sua cecità di fronte al peccato e renderà una «confessione completa»; il secondo, l’altra grande e ignobile figura del processo, il gesuita superdotto e iperprotetto, si difenderà fino allo stremo, producendo chilometri di scrittura), e infine da un drappello di ecclesiastici di rango che dalla pubblicità alla causa hanno soltanto da temere e che faranno del processo il campo di un vero regolamento di conti.

Sì, uno dei pregi del volume è quello di allargare progressivamente la visuale fino a offrire un quadro di notevole ampiezza su quanto stava accadendo nella Chiesa in quegli anni cruciali dell’unità d’Italia e della fine dello Stato pontificio. E lì al centro di questo affresco c’è suor Maria Luisa, iperattiva, loquace, instancabile: quando deve smentire una sua disposizione dice che quella che è stata udita era «la voce del Demonio che la imitava e non la sua» («il Demonio ha preso la mia figura in tante altre circostanze»), quando deve rinforzarla dice che ha avuto una visione, o che la Madonna le ha scritto, come dimostra la letterina (in francese) che può essere rinvenuta nella tal cassettina sigillata; «fa intravedere che passa le notti in orazioni, meditazioni e orrende austerità e sofferenze, talmente che sorte sovente di questi misteriosi combattimenti notturni colla lingua gonfiata e di vari colori»; non partecipa ai riti comuni, va in chiesa quando vuole, mangia carne quando le pare (lo testimoniano le novizie) e si fa fare dei gioielli che paga con i fondi del monastero (testimonianza dell’orefice); sta delle ore in parlatorio e si profuma la tonaca in modo che le consorelle sentano olezzo di rosa al suo passaggio (testimonianza del profumiere); «a Maria Luisa veniva poi il solito mal di capo ultraterreno, sempre foriero delle successive estasi e lotte con i demoni, cui seguiva subito la chiamata del confessore, che in questo caso era autorizzato a entrare nella clausura»; quando si stanca di una novizia, la allontana in maniera radicale… È il caso di dire: eccetera.

Come dicevo, il libro è costruito in modo tale che non mi sembra il caso di accennare alla conclusione, dirò soltanto – perché di conclusione non si tratta – che alla fine dell’ultimo interrogatorio, ormai sola e, bisogna dirlo, donna di fronte alla gigantesca machina maschile dell’Inquisizione, Maria Luisa china il capo, «e il commento del notaio fu che “flebat et suspirabat vehementer“»: piangeva e sospirava forte.

(2-fine)

Hubert Wolf, Il vizio e la grazia. Lo scandalo delle monache di Sant’Ambrogio, Mondadori 2015 (traduzione di F. Gimelli di Die Nonnen von Sant’Ambrogio, C.H. Beck 2013).

 

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