Devo confessare che mi sono accostato a Il vizio e la grazia di Hubert Wolf pensando: le monache del monastero di Sant’Ambrogio di Roma si conquistano un librone di tal fatta solo perché il loro «scandalo» è di natura sessuale. Mi sbagliavo clamorosamente: il libro riguarda anche quello, ma è un eccellente volume di ricerca storiografica che dell’episodio ricostruisce la sorprendente complessità, allargando progressivamente il quadro dell’indagine. È inoltre un libro che pullula di figure notevoli e di due (o tre) personaggi di altezza tragica. Ma prima di avvicinare almeno uno di essi, scorriamo la vicenda, che si svolge principalmente tra il 1859 e il 1862.
Una giovane principessa tedesca, Katharina von Hohenzollern-Sigmaringen, due volte vedova e accesa di religioso ardore, chiede al cugino arcivescovo, di stanza a Roma, di aiutarla a coronare il suo sogno di vita claustrale. Il cugino aiuta e indirizza, e Katharina diventa terziaria francescana in un famoso monastero romano. All’inizio tutto bene, in breve tutto storto, non appena la principessa conosce a fondo il «sistema» sul quale si basa Sant’Ambrogio, che anzitutto mantiene vivo il culto della fondatrice, ancorché condannata dall’Inquisizione per affettata santità; ruota poi intorno alla figura della giovane vicaria e maestra delle novizie; vede infine la presenza di due padri confessori, gesuiti e apparentemente succubi della vicaria. Sullo sfondo cardinali e protettori non di basso rango del monastero. Le cose precipitano quando la principessa invita a emendarsi la vicaria, che, per il timore che la tedesca divulghi all’esterno i segreti del monastero, dapprima accusa Katharina di squilibrio psicologico e poi tenta, più concretamente, di avvelenarla, con la complicità di alcune consorelle. In una notte drammatica la principessa riesce a far pervenire un biglietto al cugino, un vero e proprio SOS; il cugino, che in precedenza aveva minimizzato, accorre e la porta in salvo in una villa nella campagna romana. Qui Katharina, dopo essersi ripresa, viene convinta dal nuovo confessore, un benedettino tedesco, a denunciare fatti e circostanze all’Inquisizione. Sebbene il papa, Pio IX, sia molto riluttante, il processo si rivela in poco tempo inevitabile (ed è il sospetto di eresia a rendere inevitabile l’intervento dell’Inquisizione, altrimenti sarebbero stati sufficienti dei provvedimenti disciplinari e un tribunale laico per l’eventuale reato penale).
Le carte – la montagna di carte – del procedimento sono diventate accessibili nel 1998, grazie all’apertura dell’archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede disposta da Giovanni Paolo II, e ciò ha consentito a Hubert Wolf di ricostruire, con gran piglio narrativo (e tanto di passaggi da vero legal-thriller) una vicenda e un processo «nascosti da un secolo e mezzo nel più segreto di tutti gli archivi ecclesiastici»: «Alla fine il mistero è stato svelato. E quella che pareva una scandalosa fantasia è risultata essere storia vera».
Lo «scandalo» è esattamente come ce lo si può immaginare, e lascerò le estesissime citazioni dalle deposizioni a chi vorrà leggere il volume; quella che vorrei ricordare qui è la figura della principale accusata, la madre vicaria e maestra delle novizie, la bella e carismatica suor Maria Luisa di san Francesco Saverio.
(1-continua)
Hubert Wolf, Il vizio e la grazia. Lo scandalo delle monache di Sant’Ambrogio, Mondadori 2015 (traduzione di F. Gimelli di Die Nonnen von Sant’Ambrogio, C.H. Beck 2013).
Della serie “nihil sub sole novi”…
(Eh, sì.)