L’ho tenuto lì a ingiallire per venticinque anni, anzi: li ho tenuti lì, perché la meritoria edizione Pratiche del 1990 degli Svaghi di corte di Walter Map è in due volumi: presi e messi da parte come tante altre opere importanti che prima o poi dovrò aver letto. Poi, appunto, leggendo i saggi di Raoul Manselli sulle eresie medioevali, ho trovato Walter Map citato un paio di volte e accompagnato da espressioni e aggettivi fatti apposta per incuriosire: beffardo, tagliente, acre spasso, vivacissimo racconto. E così è venuto anche il turno del De nugis curialium, opera singolarissima dello scrittore gallese – ecclesiastico, poeta, conteur, diplomatico, uomo di giustizia alla corte di Enrico II Plantageneto e di Eleonora di Aquitania – circolata solo dopo la sua morte, avvenuta intorno al 1210.
Un gran simpatico, tra l’altro, uno che, lamentandosi del fatto che solo gli autori antichi hanno successo, scrive: «Il mio solo torto è questo: sono vivo. Ciò nonostante non ho intenzione di porvi rimedio morendo. […] So cosa accadrà dopo la mia scomparsa: quando incomincerò a putrefarmi, allora l’opera acquisterà sapore, il mio decesso sanerà tutti i difetti, e in una posterità lontanissima la mia antichità mi renderà un’autorità».
Un’ampia parte del primo capitolo degli Svaghi è dedicata a storie di monaci: paragrafi più o meno estesi ricchi di aneddoti, storielle, battute, informazioni, racconti fantastici, invettive, «in modo che l’esposizione avvinca e l’insegnamento tenda a migliorare i costumi». Walter Map parla di cluniacensi, templari, ospitalieri, grandmontani, certosini; di questi ultimi cartusiani dà un ritratto succinto e molto gustoso, dal quale emerge uno dei tratti caratteristici del suo sguardo: «Non tramano contro i vicini, non fanno pettegolezzi [non cavillant], non rubano; nessuna donna entra da loro, ed essi non escono per cercarne». Non è mai particolarmente benevolo, ma la sua bestia nera sono in assoluto i cisterciensi, spuntati «dall’Inghilterra, da un luogo chiamato Sherborne» (che in realtà è il luogo di provenienza di Stefano Harding, terzo abate di Cîteaux). Con i monaci bianchi ci va giù davvero pesante: avidi, avari, falsi, subdoli, truffatori, superbi, privi di carità… forse persino assassini!
Pare che ci fosse un problema particolare con la pancetta, sì, la pancetta, poiché sebbene i cisterciensi abbiano rinunciato alla carne, «nutrono tuttavia diverse migliaia di maiali, vendendone poi la pancetta, forse non tutta; le teste, le zampe, i piedi non li danno, né li vendono, né li gettano; dove vadano a finire lo sa Dio. Similmente rimane tra Dio e loro cosa facciano delle galline, di cui abbondano assai». Scherzi a parte, viene da dire, le accuse di Walter Map sono pesanti e riguardano soprattutto la sete di ricchezza dei monaci bianchi, capaci di spostare nella notte un albero di confine, di falsificare un documento, di deportare famiglie, di far sparire un’intera cascina con alberi e recinti pur di ingrandire le loro terre. Siate avvertiti: «Quelli che invece vengono sorpresi da un’invasione dei Cistercensi sappiano che li aspetta un esilio perpetuo» (dove, al di là della polemica, si sente anche un’eco della poderosa spinta di lavoro del nuovo ordine).
E quando sono colti sul fatto e messi di fronte alle loro responsabilità, questi nuovi monaci, pusillanimi, danno la colpa ai conversi, come dimostra un abate citato da Walter: «Non sappiamo nulla di ciò che avviene nelle parti più riposte della nostra casa; tutto questo è stato fatto senza che noi ne fossimo a conoscenza; i contadini che vivono fuori del chiostro e lavorano con noi hanno commesso questa mancanza senza sapere quel che facevano, e saranno battuti». Sì, battuti, e magari impiccati.
«Ecco come se ne vanno elegantemente scusati!», commenta Walter, che non si ferma nemmeno davanti a Bernardo di Chiaravalle…
(1-continua)
Walter Map, Svaghi di corte, a cura di F. Latella, 2 voll., Pratiche Editrice 1990, pp. 121-167.
Grazie per questi scorci su vite lontane e misconosciute. Leggere queste pagine mi rende più cara l’umanità di tutti noi. 🙂
In effetti, non di rado salta fuori una scena che potrebbe essere accaduta ieri. Grazie a te.
I Cistercensi dovevano proprio stare sullo stomaco a questo Walter Map…
Devo dire che mi sono anche trattenuto con le citazioni…
Sai se alla Certosa di Pavia è raffigurato un Santo che impugna la gamba di un animale chiamato popolarmente “il santo del prosciutto”?
Nelle storie della Certosa di Casotto (http://cartusialover.altervista.org/Casotto.htm) si dice che a Pavia c’è una figurazione del Beato Guglielmo, mentre qui nessuno più racconta la storia di quell’immagine. I certosini della Certosa di Pavia hanno tra le loro fila un converso beatificato – tale Guglielmo da Fenoglio, laico certosino (1065-1120) http://goo.gl/aOQx8p – che, dicono le cronache, era addetto all’approvvigionamento di viveri presso la Certosa di Casotto dove visse come semplice fratello converso, dedicandosi amorevolmente all’obbedienza ed al servizio dei suoi confratelli.
Le strade e i boschi erano infestati da briganti, che spesso assalivano il povero converso per rapinarlo dei viveri, Guglielmo rammaricato per queste vili aggressioni cercava conforto nel suo priore. Questi, un giorno provò ad incoraggiarlo dicendogli: “La prossima volta che incontrerai i ladri, impugna una gamba della mula e mettili in fuga!”. Per la sua profonda obbedienza ed umiltà, poco tempo dopo, dando ascolto all’ironico consiglio del suo superiore, recandosi fuori dal convento per una nuova missione, si imbatté in una banda di assalitori ai quali stavolta si oppose alzando minacciosamente una zampa staccata dalla sua mula sgominando così, gli atterriti briganti. Guglielmo provvide a risistemare il carico di viveri sul dorso della mula, a cui badò di riattaccare la zampa (ma nella fretta la riattacca al rovescio), e rientrò in certosa. Al suo ritorno, il priore notò che l’animale zoppicava vistosamente, perché aveva una zampa al contrario, così chiese spiegazioni a Guglielmo il quale dopo averlo informato sull’accaduto, fu invitato a ricompiere il prodigio per non far soffrire il povero equino. Tra lo stupore dei monaci presenti, egli ripetè il miracolo staccando e riattaccando la zampa alla mula senza che ella perdesse del sangue ed emettesse nessuna smorfia di dolore. Questo episodio largamente diffuso, nelle raffigurazioni iconografiche di Guglielmo da Fenoglio, rappresenta il più notorio tra i tanti miracoli compiuti dal beato durante la sua vita.
Non si sa esattamente come andarono le cose, fatto sta che è noto come “santo del prosciutto” per via delle raffigurazioni che ne fecero.
Sul mio blog si può vedere una foto che ho fatto del bassorilievo che è sulla parte interna della facciata della Certosa di Pavia dove viene rappresentato con una coscia di animale delle dimensioni appunto di un prosciutto. http://marzano.altervista.org/blog/beato-guglielmo-fenoglio-il-santo-del-prosciutto/
Per carità se il priore mi ha detto di usare una gamba della mula… Molto divertente la storia del “santo del prosciutto”, non la conoscevo; grazie!