«Non si può vivere la vita monastica senza dar ragione di una preferenza esclusiva.» Su questa frase mi sono fermato (stavo leggendo il testo di una conferenza recente e molto interessante dell’abate generale dei cistercensi Mauro Giuseppe Lepori). Sembra un concetto molto anticonformista (per mancanza di un termine migliore, che non sia «inattuale») quello di preferenza esclusiva, segno di una lealtà e di una dedizione ormai sempre più rare. Una nobile stabilità che tuttavia può anche cambiare di valore e diventare rigidità mentale, ottusità, ostilità al rinnovamento. (Questa ambiguità, tra l’altro, si rispecchia in una simile ambiguità tipica del mondo dei consumi: ogni produttore di merci sogna che il proprio cliente si assesti su una «preferenza esclusiva», e al tempo stesso è soltanto grazie al tradimento di questa preferenza che è possibile lanciare nuovi prodotti.)
Secondo l’abate Lepori tale preferenza è il distintivo della vocazione monastica, lo è verso la Chiesa, lo è verso le altre forme di vita cristiana, lo è anche verso il mondo. Il mondo, ribadisce con forza, deve vedere con chiarezza la differenza monastica, e deve essere spinto a chiederne il perché («Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro?», Cantico dei Cantici, 5, 9). «Non è solo una liturgia che suscita questa domanda. Né il vivere in luoghi tranquilli. E neppure un modo di vivere e vestire alternativo. Neanche l’essere all’avanguardia su certe tematiche, di vita sana, ecologiche, ecc.» Il perché della preferenza esclusiva, che diventa «consacrazione preferenziale», al Mistero manifestatosi nel Cristo è la vera testimonianza, «l’apporto più prezioso che il monachesimo è chiamato a offrire alla Chiesa e al mondo».
Io trovo che questo perché i monaci e le monache lo abbiano suscitato e lo suscitino con il loro essere, con la loro storia e con le loro testimonianze, più ancora con quelle concrete – gli edifici, gli oggetti, la nozione di comunità che si sono susseguite nei secoli – che con quelle concettuali. Per me spesso è più provocatorio un chiostro, o un ufficio notturno, che una confessione o una meditazione. Queste ultime sono preziose, senza dubbio, e ne consumo sempre in gran quantità, ma credo che si situino nella zona dove la comprensione si fa più difficile. Se mi soffermo ad esempio sulla descrizione che viene tentata di quella «preferenza esclusiva», la mia mente sente sapore di tautologia: «La preferenza di Dio è la preferenza di Dio. È anzitutto la preferenza di una relazione reale con Dio in quanto Dio, un reale fermarsi in sua presenza, un reale ascolto della sua parola, nel silenzio, e fino alla profondità del nostro cuore».
Non lo so. La nube della non conoscenza?
(Mauro Giuseppe Lepori, La vita monastica 50 anni dopo il Concilio Vaticano II, assemblea generale del Service des Moniales de France, Poissy, 11‐12 giugno 2014; il testo, ovviamente molto ampio nell’impianto e assai ricco di spunti, è disponibile sul sito dell’Ordine Cistercense, qui il link diretto alla versione italiana.)