Temendo il rimprovero dell’amico e maestro Manegoldo, circa la sua eccessiva frequentazione degli autori classici, dice Wibaldo, abate di Stablo (Stavelot), intorno al 1149:
Ma perché tu rimproveri e accusi me, monaco e che già comincio a incanutire, perché leggo spesso o mi occupo di queste cose? Sappi che io entro in questi accampamenti non come un disertore o come uno che passa al campo nemico, ma come uno che va a esplorare e che desidera saccheggiare – ché magari riesco a ghermire una madianita con la quale, una volta che si sarà rasata e si sarà tagliata le unghie, potrò unirmi in legittimo matrimonio [quam pilis erasis et unguibus dissectis legitimo mihi valeam copulare matrimonio].
La citazione è in Giovanni Lunardi, La spiritualità dei padri monastici del secolo XII, Edizioni La Scala 2012, pp. 180-81, che però si ferma a «saccheggiare»; la «battuta» sulla madianita fa riferimento a Deuteronomio, 21, 10-13.
Simile al passaggio usato da Seneca per difendere la propria familiarità con l’epicureismo: “soleo enim et in aliena castra transire, non tamquam transfuga, sed tamquam explorator”
Che interessante, grazie.
Mi sembra una citazione diretta, tenendo conto appunto delle letture di Wibaldo, che scrive infatti così: “Haec castra ingredior non tanquam desertor et transfuga, sed sicut explorator et spoliorum cupidus”.
Fa venire in mente il bel libro di Jean Leclercq “Cultura umanistica e desiderio di Dio”.
Sì, vero. Gran bel libro.