La più crudele di tutte le madri (Claude Martin, 3)

(la prima parte è qui)

Terminata intorno al 1663 la grande crisi, Claude Martin è pronto a dedicarsi senza ombre alla sua congregazione e lo farà con incarichi che lo porteranno a un passo dal vertice della gerarchia: Secondo assistente del Superiore generale dal 1668 al 1675, grand-prieure di Saint-Denis fino all’81 e di nuovo Secondo assistente fino al 90 (non poté diventare Superiore generale soltanto per l’opposizione di Luigi XIV). Gli ultimi anni li trascorre a Marmoutier, dove muore nel 1690 lasciando incompleta la sua opera conclusiva, il Traité de la contemplation.

La sua attività a Saint-Germain-des-Prés, casa madre dei maurini e prodigioso centro culturale della Francia del Seicento (Mabillon, tanto per dire), si svolge soprattutto nell’ambito della cura di edizioni importanti (sant’Agostino) e della formazione dei novizi (da cui deriverà la Pratica della Regola di san Benedetto). Ma è il decorso della ferita iniziale, l’abbandono da parte della madre, a rappresentare l’aspetto che più mi ha colpito. Il rapporto non si è mai interrotto e dal 1639, data in cui lei parte per il Canada, assume la forma dello scambio epistolare (di solito una o due lettere all’anno, in settembre, secondo il ritmo delle navi che effettuano il collegamento col Nuovo Mondo).

Nei primi anni madre e figlio, che si sanno del voi, discutono della vocazione di lui, senza mai dimenticare tuttavia il «fattaccio»: «Voi siete stato abbandonato da vostra madre e dai vostri parenti», scrive Marie il 4 settembre 1641, «ma non è forse stato un vantaggio per voi questo abbandono? Quando vi lasciai che non avevate ancora dodici anni, non lo feci senza strane convulsioni [convulsions étranges] che non furono note se non a Dio». E ancora: «Alla fine ho dovuto cedere alla forza dell’amore divino e soffrire il taglio di una divisione più doloroso di quanto si possa dire, ma ciò non ha impedito che io mi sia sentita la più crudele di tutte le madri. Vi chiedo perdono, mio carissimo figlio, perché io sono la causa della sofferenza che avete provato» (settembre 1647).

A poco a poco, oltre alle notizie sulla missione, prendono il sopravvento i temi mistici dell’esperienza della madre, tanto che dom Martin sollecita relazioni, approfondimenti, confessioni, che lo porteranno a essere il primo biografo di lei (La Vie de la vénérable Mére Marie de l’Incarnation, première supérieure des ursulines de la Nouvelle France, tirée de ses lettres et de ses écrits, 1677) e l’editore dei suoi scritti. E sarà proprio la dimensione caratteristica dell’esperienza materna (e tipica di certe correnti mistiche) a indicare al maurino la sua strada personale.

Si tratta della «dimensione sponsale», e come la madre troverà in questa forma di nozze mistiche la «soluzione» al suo rifiuto originario del matrimonio umano, così Claude sceglierà di «sposare la divina sapienza». E lo farà a modo suo, con una vera cerimonia, ai limiti dell’ortodossia, di cui ci è rimasta traccia. Anzitutto stese un contratto, dettagliato per punti, e poi, come racconta G.-M. Oury, «disse la messa una mattina in una delle cappelle di Saint-Serge, usando, sembra, le formule liturgiche della messa di matrimonio. E a testimonianza del suo patto, prese un anello d’oro che con una catenella al collo appese all’altezza del cuore».

La madre approvò: «Il fatto che tutto sia avvenuto in spirito di fede è più vantaggioso che se aveste avuto visioni o qualcosa di straordinario a livello di sensibilità».

(2-fine)

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