«In Armenia ci sono molte chiese, cappelle e monasteri antichi», annota Vasilij Grossman nel corso del suo viaggio dell’autunno del 1961. «E io che non sono credente guardo quelle chiese e penso “Forse Dio esiste… La sua casa non può essere rimasta vuota per mille e cinquecento anni.» In questo straordinario testo di «edificazione laica» (Il bene sia con voi!), così attento ai più piccoli particolari della vita degli individui, Grossman si sofferma tre volte su «temi religiosi».
Anzitutto raccontando la visita al katholikòs Vazgen I, il primate armeno di Ečmiadzin: un incontro che lo lascia freddo e deluso, se non fosse per la presenza, a fianco del katholikòs, di un enigmatico monaco vestito di nero e bello di una bellezza «malvagia».
La seconda osservazione è dedicata alle chiese armene e alla loro semplice «perfezione» che non può che ospitare «il Dio di tutti gli esseri viventi»: «Lo capisci subito non appena nell’aria trasparente ne scorgi una lontana, arroccata su un monte, semplice come un pensiero di Newton, giovane come se fosse nata ieri… Sembra che l’abbia tirata su un bambino con cubi di basalto, tanto è semplice e naturale». Una semplicità che, secondo Grossman, attinge al fondo pagano in cui l’Armenia è ancora immersa.
Infine la nota forse più interessante, suscitata da un lungo percorso di montagna: tornanti, pinete, strapiombi, cime innevate, la purezza – un insieme che evoca la solitudine dell’eremita. «Ma vivere da eremiti è segno di coraggio?» si chiede Grossman. E la sua risposta è: no.
Di eremiti ce ne sono tanti, anche se non si vedono, «non vivono nelle celle dei monasteri… vivono sparsi nelle città del mondo moderno, negli appartamenti in coabitazione, per le strade di Mosca e di Kiev, faticano nelle fabbriche, lavorano nei ministeri, fanno gli imbianchini. Portano giacca, soprabito e bustine di astrakan». Fanno di tutto nelle loro celle, e ciò che li accomuna non è una forma di alienazione o di fanatismo per la loro fede, bensì «la convinzione che nella vita l’essenziale non siano le ore e le opere della vita quotidiana… [ma] la necessità di servire il proprio Dio in gran segreto, senza condividere con il mondo la rivelazione». Gli «eremiti del ventesimo secolo» hanno capito la grandezza e la miseria di chi andava realmente nel deserto e hanno ben chiara la differenza tra la sorte di chi coltiva la propria «segreta verità», quale essa sia, e di chi invece si rivolge agli altri per annunciarla. L’hanno ben chiara e si guardano bene dal varcare l’abisso.
«Ci sono molti eremiti, a questo mondo», conclude Grossman, «ma rari, rarissimi sono i profeti e i predicatori».
Mi sono sentito, per così dire, pur a distanza di cinquant’anni, colto in flagranza di reato.
Vasilij Grossman, Il bene sia con voi!, traduzione di C. Zonghetti, Adelphi 2011.
Sinceramente, a leggere la vita, i diari degli eremiti ti accorgi che in quelli piú vicini alla vita evangelica, non c´é un desiderio di allienazione o fanatismo religioso, ma una chiamata impellente dall´alto ad andare nel deserto, qualunque esso sia
Grossman da ebreo ateo e presupponente non è in grado di capire me non è in grado di ammetterlo. Senza l’Eucarsstia e l’adorazione la religione è ridotta a ben poco. Ma non è così. Ogni gioeno milioni di cuori pregano. E il mopneaoc eremita magari nella meropoli è in prima fiola. Grazie per il suo contributo alla nostra salvezza.