In questa fornace

Mi sono appassionato alle lettere di Pietro il Venerabile, il grande abate di Cluny, delle quali è da poco accessibile una scelta in traduzione italiana. Sono proprio belle, ricche di immagini meditate (oltre che, naturalmente, di molta edificazione) e soprattutto anticamente prolisse. Fa dei giri lunghissimi, l’abate, per arrivare al «nocciolo della questione», costruisce castelli di citazioni, rammaricandosi pure della brevità cui lo costringe il «fastidio degli affari»: «Si aggiunge a questa difficoltà il proposito della brevità, nella quale la gente di questi tempi, non so per quale innata pigrizia, sembra compiacersi».

Mi piace questa prolissità, non per sciocco gusto di controtendenza, ma perché denota, al di là della modulistica d’epoca, un’attenzione viva per le caratteristiche del destinatario, sulle quali, come un abito su misura, va tagliato il messaggio: si può dire qualsiasi cosa a chiunque (o quasi), se si è mossi da sincerità disinteressata, scegliendo parole e tempi giusti, dilungandosi sulle dovute premesse, preparando il terreno.

Un esempio sublime, ai miei occhi, è rappresentato da una frase incastonata nella lettera che Pietro scrive ai monaci della Certosa per consolarli della morte di alcuni confratelli. È il 1132 e una valanga, dovuta probabilmente a un’inondazione, ha spazzato via gran parte degli edifici della Certosa. Nell’incidente hanno perso la vita sei monaci e un novizio. Pietro si rivolge al priore Guigo e alla comunità e svolge con eleganza e dolcezza tutti i temi consolatori che si possono immaginare. Poi però aggiunge una cosa, fine e insieme ardita, che forse si può leggere anche in chiave non trascendente. Un pensiero terribile, eppure vero, che mi sento di condividere, pur con tutto il dubbio, il timore e il tremore del caso: poiché è raro che il destino conceda ai fratelli di morire insieme, al fratello che resta tocca affrontare la durezza della morte del fratello che muore, al quale, quindi, questa durezza viene risparmiata.

Ecco la frase, che arriva al «punto» con un piccolo scarto, come scivolando da un tema più tradizionale (chi sopravvive conquista il merito di una lotta più lunga).

«Ma un pensiero simile [il dolore per la salvezza rimandata] trova una facile consolazione, poiché ciò che a loro ha già procurato la gloria, a voi giova per conquistare una corona. In questa fornace, infatti, nella quale essi, liquefatta ogni ruggine, sono stati resi splendenti, anche voi venite purificati in misura non inferiore alla loro, dato che il modo non è più dolce del loro, anzi forse più duro, dato che dura di più. Anche se non siete morti con loro, poiché la spada della morte ha trapassato le vostre anime, avete sopportato la morte pur non morendo affatto, e l’avete sentita con maggior durezza perché non siete potuti morire insieme a loro che morivano.»

Pietro il Venerabile, Lettera 48, in Un monaco nel cuore del mondo. Lettere scelte, a cura di D. Pezzini, Paoline 2010. (Per la precisione, noto che le ultime parole citate le ho prese da un’altra traduzione, a cura di C. Falchini.)

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