È all’incirca il 1136. Pietro abate di Cluny, non per niente Venerabile, scrive una delle sue eleganti lettere a Guigo I, priore della Chartreuse. I due si stimano e si vogliono bene. E infatti è una lettera d’amicizia: Pietro non ha gran che da dire, se non che si sente oppresso dai suoi doveri («Sono un asinello, e mi vedo costretto a portare sul dorso un castello di elefante») e che sotto sotto prova un po’ di invidia per la pace dei certosini («Felice, e già partecipe della beatitudine eterna, il riposo di coloro che sono esonerati dalle occupazioni»). Si sfoga un po’, insomma, ed è bello leggerlo.
Già che scrive, tuttavia, ne approfitta per un paio di paragrafi di cose pratiche. Libri in particolare, codici da ricevere e da mandare. Sappia, il fratello Guigo («da abbracciare con il particolare abbraccio di una carità non finta»), che Pietro gli ha mandato le vite di Gregorio di Nazianzo e del Crisostomo e un librino di Ambrogio contro Simmaco; il volume di Prospero d’Aquitania su Cassiano non ce l’ha, ma l’ha chiesto in prestito a un’altra abbazia, mentre il testo di Ilario sui Salmi ha preferito non spedirglielo, perché ci ha trovato degli errori: «Se poi lo volete com’è, richiedetelo e ve lo manderò».
In cambio, Guigo dovrebbe essere così gentile da inviargli il «grande volume delle lettere del santo padre Agostino», quello con il carteggio con Girolamo all’inizio. Ce l’abbiamo, nota al volo Pietro, ma «la gran parte del volume, in uno dei nostri priorati, l’ha accidentalmente divorata un orso».
Pietro il Venerabile, Lettera 24, in Un monaco nel cuore del mondo. Lettere scelte, a cura di D. Pezzini, Paoline 2010.