Un breve ma molto denso saggio sul significato storico, dottrinale e pratico del concetto di comunità nel monachesimo del sempre bravo Gregorio Penco. La cosa più interessante è che è palesemente rivolto ai monaci stessi più che agli studiosi o agli interessati, e che non nasconde gli aspetti più quotidiani della questione. Poiché la comunità nella sua singolarità è forse il senso primario del monachesimo e della esistenza dei monasteri. Comunità di individui raccolti in un luogo preciso sotto un abate e una regola, uniti da consuetudini, aspirazioni e progetti comuni (a differenza p.es. delle congregazioni che sono entità sovrapersonali con scopi determinati in cui i membri devono annullarsi o comunque piegarsi all’identità collettiva).
Anche nel monastero la strada è, per quanto possibile, quella dell’annullamento della volontà individuale a beneficio del «bene comune», interpretato dall’abate e in ogni caso sancito dalla fede. Un bene comune che non può prescindere da a) reale separazione dal mondo; b) vita contemplativa; c) maturazione spirituale sulla base dell’ufficio divino; d) clima di carità fraterna; e) lavoro effettivo. Oltre ai vari significati cristologici ed ecclesiologici, il cuore dottrinale e pratico della vita comunitaria è la relazione («essere pura relazione a un’altra persona», come nella Trinità), dove «unità e distinzione trovano il loro modello e la loro sintesi» (nell’amore).
E questa sembra una lezione che può essere declinata anche al di fuori del contesto di fede.
Gregorio Penco, La comunità monastica, (Orizzonti monastici, 23), Seregno, Abbazia San Benedetto, 1999.