Uno potrebbe anche chiedere: perché leggerle?
Be’, le lettere mi sono sempre piaciute, sia come forma in sé sia perché permettono una conoscenza più ravvicinata. In secondo luogo non è necessario condividerne la fede per apprezzare una figura come Giovanni Battista Montini. Anzi, penso che i non credenti si trovino spesso nella posizione migliore per leggere i grandi scrittori religiosi. Inoltre è sempre interessante vedere come erano percepiti certi fatti storici nel momento in cui si verificavano (in questo caso l’ascesa del fascismo, poi del nazismo, e lo scoppio della seconda guerra mondiale, poiché le lettere vanno dal 1915 al 1943).
E su quest’ultimo punto va detto che forse sarebbe più rivelatore un diario (non so se esiste), poiché il tono delle lettere (per lo meno di quelle scelte dal curatore) resta sempre intimo e le questioni politiche vengono sempre toccate con circospezione e in riferimento alle ragioni dell’animo più a quelle storiche (Montini era un diplomatico e la cautela era connaturata al suo ruolo, oltre che al suo carattere). Salvo qualche rapida confessione circa la propria «inettitudine», che forse era soprattutto fastidio per certi rituali e certe forme (a Lourdes, ad esempio, l’irritazione è molto trattenuta), non ho avuto l’impressione che lo scrivente si aprisse mai completamente, a conferma dell’immagine, forse stereotipata, del futuro papa, chiuso, austero e ieratico.
Una piccola nota. Mentre era stato chiamato alla Nunziatura di Varsavia, nell’agosto del ’23 fece un breve viaggio a Cracovia, e il 18 e 19 agosto fece tappa a Oswiecim, presso una casa di Salesiani. Oswiecim, che sarebbe «diventata» Auschwitz.
Paolo VI, Lettere a casa, Rusconi, 1987.