Le regole mi sono sempre piaciute perché sono un fottuto leninista, perché tutto in fondo si riduce al «che fare?» e perché troverei sensato che tutti si comportassero secondo la «regola» (ma poi mi trattengo). Mi piacciono anche perché ostinandosi a definire modi e comportamenti rivelano, in modo chiaro e diretto, talvolta involontariamente, la realtà.
Si prendano ad esempio questi due capitoli degli abati vallombrosani. In quello di Attone, del 1127, si legge: «Inoltre, non si abbia troppa cura nel dar da mangiare agli uccelli nel chiostro, affinché da tale occasione i fratelli non siano trascinati – cosa che non conviene – allo scherzo o al riso». Non è splendido immaginare un gruppetto di monaci festosi che porta il pane ai passerotti?
In un altro capitolo dell’abate Attone, del 1128, si legge invece, a proposito delle funzioni da svolgere in occasione della morte di un fratello: «Non si dicano, per coloro che al termine della vita sono stati trovati con denaro nascosto, salmi e orazioni». I soldi nel materasso?
Queste, e altre delizie, si possono leggere in: I padri vallombrosani, Nel solco dell’evangelo. Fonti vallombrosane, Qiqajon, comunità di Bose, 2008, pagg. 249 e segg.