Archivi tag: Daniele stilita

«C’era grande preoccupazione su come portarlo giù» (La «Vita di Daniele stilita», pt. 2/2)

(la prima parte è qui)

Il passaggio dalla seconda alla terza colonna è spettacolare, perché avviene senza che il santo tocchi terra: Daniele, infatti, «ordinò che fosse posta un’asse, da scala a scala, a guisa di ponte. Fatto ciò, il santo si trasferì sulla colonna doppia»; la cui costruzione peraltro era stata assai travagliata, tanto che l’imperatore, dopo un clamoroso episodio di tempesta notturna che mette a rischio la vita di Daniele1, condanna a morte l’architetto negligente, ma lo stilita intercede, e Leone, naturalmente, concede il perdono dopo aver ordinato – e qui non posso fare a meno di pensare che la curatrice si sia concessa una punta di ironia moderna – «che la colonna fosse messa in sicurezza».

Di scene spettacolari, va detto, la Vita di Daniele stilita è piena. Come quando un’ondata di gelo si abbatte sul Bosforo e Daniele finisce «per assomigliare a una statua di sale». Il passaggio della tempesta merita una citazione estesa: «Quando, per misericordia divina, tornò il sereno, portarono la scala, e videro che i capelli e i peli della barba2, diventati ghiaccioli, si erano incollati al corpo e il viso, coperto di ghiaccio a guisa di una lastra di vetro, non era più visibile, ed era assolutamente incapace di parlare e di muoversi. Allora portarono di corsa recipienti di acqua tiepida e grosse spugne, lo riscaldarono a pezzo a pezzo, e con fatica lo misero in condizione di parlare» (e Daniele rivelerà di essere entrato in una specie di trance a battito cardiaco ridotto e completa di visioni). O come quando l’imperatore Leone conduce alla colonna il re dei Lazi Gubazo, «e il santo si fece mediatore di accordi soddisfacenti per entrambi». O ancora come quando, durante la prima fase del regno di Zenone, in occasione della vicenda dell’usurpatore Basilisco (475), Daniele scende a terra per la prima e unica volta: lo spostamento del santo dalla colonna alla Grande Chiesa (di Santa Sofia) è una sequenza di scene di massa sempre più clamorose: codazzi di religiosi, acclamazioni di popolo, sollevazioni, interventi vescovili, richieste pressanti di reliquie (le garze che avvolgono i piedi martoriati del santo), miracoli, altre guarigioni, proclami, fino alla gloriosa conclusione che vede l’usurpatore pentirsi, perlomeno pubblicamente: «E mentre il popolo continuava a gridare con tali esclamazioni e innumeri altre simili, essi giacevano ai piedi del santo, l’imperatore e l’arcivescovo»…

Ma l’evento più eclatante di tutti, quasi da far sospettare la presenza di un’attenta regia, non poteva essere che la morte del santo, «una delle più spettacolari dell’antichità dai tempi di Antonio e Cleopatra», dice la curatrice citando lo storico inglese Robert Lane Fox. Le cose cominciano non meno di tre mesi prima, per poter stabilire con agio i modi della sepoltura, compresa la costruzione di «un’impalcatura a forma di spirale» lungo la quale sarebbe stato calato il cadavere disteso su una tavola, e la verifica del luogo dove fare la veglia in modo che il corpo non fosse smembrato dalla folla a caccia di reliquie. Sette giorni prima Daniele si congeda dai suoi discepoli, benedicendoli e invitandoli all’amore fraterno. Da quel momento la folla non fa che aumentare. Ogni tanto l’arcivescovo Eufemio, che presiede alle operazioni, sale sulla scala, dà un’occhiata e si rivolge ai presenti: «Il santo è ancora vivo ed è con noi, non perdetevi d’animo». Prima che Daniele completi la sua ascesa al cielo, infatti devono arrivare tutti, ma proprio tutti.

Dopo il trapasso, l’ispezione del corpo, che si presenta rattrappito, con le ginocchia piegate al petto, le cosce unite ai talloni e i piedi in uno stato inimmaginabile… «e dopo che il suo corpo venne disteso a forza, ci fu uno scricchiolio d’ossa sì da pensare che fosse andato in pezzi; ma una volta disteso, non mancava assolutamente nulla». Una volta fissato alla tavola, il corpo viene mostrato alla folla, in verticale. La tensione sale, c’è «grande preoccupazione su come portarlo giù», l’arcivescovo chiede una teca di piombo e, insieme ad altri, scende lungo «la scala a chiocciola»; la folla preme; i portatori si dirigono all’oratorio, ma le assi dell’ingresso, «non reggendo la spinta, si separarono l’una dall’altra, e tutti quelli che portavano in spalla la bara furono buttati a terra insieme alle sante spoglie…» Solo la grazia del Signore evita la tragedia, e il corpo di Daniele viene deposto nella terra.

«Lo spettacolo era infatti ben strano», dice l’anonimo autore, commentando lo sbalordimento di coloro che per primi videro Daniele sulla colonna, all’inizio della sua avventura, e al di là delle ironie moderne, dell’eccesso, delle risonanze storiche di una pratica non del tutto esclusiva del monachesimo cristiano delle origini (puntualmente passate in rassegna nell’Introduzione), è in effetti difficile pensare a un’immagine di collegamento, di raccordo, di «cerniera», fra terra e cielo di maggiore potenza ed efficacia visiva: un simbolo vivente, un’aspirazione incarnata, una sospensione incredibile, la contraddizione in cui molti sentono di vivere cristallizzata in un gesto unico e ininterrotto, di eterno presente – eterno quanto può esserlo una «impresa umana».

(2-fine)

______

  1. «E poiché tutti avevano davvero perso ogni speranza, stavano lì attoniti e pieni di paura, volgendo il capo da un lato all’altro insieme all’oscillazione della colonna, per osservare in quale direzione il cadavere del giusto sarebbe stato scagliato insieme alla colonna» (§ 47).
  2. Che alla morte misureranno, rispettivamente, circa 1 metro e 80 (divisi in dodici trecce) e circa 1 metro e 40 (divisa in due trecce).

 

2 commenti

Archiviato in Agiografie, Libri

Come le pecore (La «Vita di Daniele stilita», pt. 1/2)

Campione ante litteram di distanziamento sociale, primatista assoluto di perseveranza, esorcista e guaritore di prima categoria, Daniele è forse meno noto di san Simeone, del quale condivide l’origine siriana, ma come lui siede a pieno diritto nel pantheon degli stiliti. E lo fa grazie a un’agiografia di autore anonimo, di poco successiva alla morte avvenuta nel 493, che senza uscire dai canoni del genere ce ne tramanda le imprese e che possiamo leggere in traduzione italiana nella pregevole edizione curata da Laura Franco1. In verità si potrebbe dire l’impresa, al singolare, con riferimento ai trentatré anni che Daniele ha vissuto issato su una colonna in località Sostenio, l’attuale Istynie, distretto di Istanbul sulle rive del Bosforo.

Trentatré anni, dal 460 (all’età di 51anni) al 493, di «distacco» fisico dal mondo, peraltro preceduti da una non tanto differente preparazione, ma non di isolamento dal consesso umano, anzi. Intorno alla colonna del sant’uomo si raccoglie rapidamente una comunità (mandra, nel senso fisico di «recinto») di discepoli, che provvede ai suoi limitatissimi bisogni alimentari e che funge anche da filtro di accesso per la massa crescente di individui che preme, letteralemente, ai piedi di Daniele per ottenerne una benedizione, un consiglio, una guarigione. Quanto ai primi, i bisogni alimentari, è lo stesso Daniele a rispondere nel dettaglio a un uomo che lo aveva interrogato a riguardo. È una risposta notevole, che ci ricorda il senso pratico di questi individui apparentemente così privi del medesimo. Non facendo moto che possa «aiutare la mia digestione» – dice Daniele –, è meglio che mangi il meno possibile, e comunque «credimi, fratello, io mangio e bevo in misura sufficiente alle mie necessità. Non sono infatti uno spirito, né un essere incorporeo, ma un uomo, rivestito di carne. E quanto all’altra necessità, quella di evacuare, la faccio come le pecore, per via dell’estrema secchezza».

Quanto alla seconda, la folla che si recava dal santo, va ricordato che ai piedi della colonna nel corso degli anni si presenta tutta la società del tempo, dall’ultimo dei lebbrosi al vescovo, dal truffatore, all’ex soldato, all’imperatore Leone I il Grande (457-474). Quest’ultimo, anzi, stabilisce un rapporto privilegiato con lo stilita, che diventerà a tutti gli effetti un specie di consigliere, non soltanto in materie religiose, ma anche e soprattutto politiche. Ed è curioso notare la trasformazione dell’atteggiamento dell’uomo politico: quando Daniele sale sulla colonna, il proprietario del terreno va subito a lamentarsi dall’arcivescovo Gennadio e da Leone, ma «l’imperatore non gli rispose nulla»; passano gli anni e Leone continua a sentire racconti su Daniele, tanto che a un certo punto gli fa chiedere un’intercessione: prontamente esaudita; poi è la volta della dignità sacerdotale, che l’imperatore concede a Daniele, forzando la mano allo stesso arcivescovo, e in fondo allo stesso monaco; infine giunge il momento dell’incontro: Leone «si recò nel luogo… dove si trovava il santo, e chiese si appoggiasse la scala per salire e ricevere la benedizione. Accostata la scala, l’imperatore salì dal servo di Dio e gli chiese il permesso di toccare i suoi piedi. Avvicinatosi e vedendo come erano ulcerati e gonfi, fu preso da stupore e, ammirando la capacità di sopportazione del giusto, e glorificando Dio, pregò il santo di potergli erigere una colonna doppia».

Già, perché tre sono le colonne nel corso della carriera da stilita di Daniele, via via una più alta della precedente, la prima essendo pari «all’altezza di due uomini» dotata di un semplice parapetto di legno, ricavato probabilmente da una botte, l’ultima essendo appunto «doppia» e completa di una vera balaustra e successivamente di un riparo.

(1-segue)

______

  1.  Fra terra e cielo. Vita di Daniele stilita, a cura di L. Franco, SE 2020.

 

Lascia un commento

Archiviato in Agiografie, Libri