Campione ante litteram di distanziamento sociale, primatista assoluto di perseveranza, esorcista e guaritore di prima categoria, Daniele è forse meno noto di san Simeone, del quale condivide l’origine siriana, ma come lui siede a pieno diritto nel pantheon degli stiliti. E lo fa grazie a un’agiografia di autore anonimo, di poco successiva alla morte avvenuta nel 493, che senza uscire dai canoni del genere ce ne tramanda le imprese e che possiamo leggere in traduzione italiana nella pregevole edizione curata da Laura Franco1. In verità si potrebbe dire l’impresa, al singolare, con riferimento ai trentatré anni che Daniele ha vissuto issato su una colonna in località Sostenio, l’attuale Istynie, distretto di Istanbul sulle rive del Bosforo.
Trentatré anni, dal 460 (all’età di 51anni) al 493, di «distacco» fisico dal mondo, peraltro preceduti da una non tanto differente preparazione, ma non di isolamento dal consesso umano, anzi. Intorno alla colonna del sant’uomo si raccoglie rapidamente una comunità (mandra, nel senso fisico di «recinto») di discepoli, che provvede ai suoi limitatissimi bisogni alimentari e che funge anche da filtro di accesso per la massa crescente di individui che preme, letteralemente, ai piedi di Daniele per ottenerne una benedizione, un consiglio, una guarigione. Quanto ai primi, i bisogni alimentari, è lo stesso Daniele a rispondere nel dettaglio a un uomo che lo aveva interrogato a riguardo. È una risposta notevole, che ci ricorda il senso pratico di questi individui apparentemente così privi del medesimo. Non facendo moto che possa «aiutare la mia digestione» – dice Daniele –, è meglio che mangi il meno possibile, e comunque «credimi, fratello, io mangio e bevo in misura sufficiente alle mie necessità. Non sono infatti uno spirito, né un essere incorporeo, ma un uomo, rivestito di carne. E quanto all’altra necessità, quella di evacuare, la faccio come le pecore, per via dell’estrema secchezza».
Quanto alla seconda, la folla che si recava dal santo, va ricordato che ai piedi della colonna nel corso degli anni si presenta tutta la società del tempo, dall’ultimo dei lebbrosi al vescovo, dal truffatore, all’ex soldato, all’imperatore Leone I il Grande (457-474). Quest’ultimo, anzi, stabilisce un rapporto privilegiato con lo stilita, che diventerà a tutti gli effetti un specie di consigliere, non soltanto in materie religiose, ma anche e soprattutto politiche. Ed è curioso notare la trasformazione dell’atteggiamento dell’uomo politico: quando Daniele sale sulla colonna, il proprietario del terreno va subito a lamentarsi dall’arcivescovo Gennadio e da Leone, ma «l’imperatore non gli rispose nulla»; passano gli anni e Leone continua a sentire racconti su Daniele, tanto che a un certo punto gli fa chiedere un’intercessione: prontamente esaudita; poi è la volta della dignità sacerdotale, che l’imperatore concede a Daniele, forzando la mano allo stesso arcivescovo, e in fondo allo stesso monaco; infine giunge il momento dell’incontro: Leone «si recò nel luogo… dove si trovava il santo, e chiese si appoggiasse la scala per salire e ricevere la benedizione. Accostata la scala, l’imperatore salì dal servo di Dio e gli chiese il permesso di toccare i suoi piedi. Avvicinatosi e vedendo come erano ulcerati e gonfi, fu preso da stupore e, ammirando la capacità di sopportazione del giusto, e glorificando Dio, pregò il santo di potergli erigere una colonna doppia».
Già, perché tre sono le colonne nel corso della carriera da stilita di Daniele, via via una più alta della precedente, la prima essendo pari «all’altezza di due uomini» dotata di un semplice parapetto di legno, ricavato probabilmente da una botte, l’ultima essendo appunto «doppia» e completa di una vera balaustra e successivamente di un riparo.
(1-segue)
______
- Fra terra e cielo. Vita di Daniele stilita, a cura di L. Franco, SE 2020.