In età non più giovanissima, diciamo intorno al 1150, cioè verso i 58 anni, Pietro il Venerabile, abate della grande Cluny da quasi trent’anni, scrive una lunga lettera al magister Bartolomeo per chiedergli un consiglio medico. «Gli storici della medicina riportano, proprio in questo periodo, un celebre Maestro Bartolomeo, autore di opere che lo collegano alla scuola salernitana e che risulta essere allievo di Costantino l’Africano, monaco e medico di Montecassino, morto nel 1087. Bartolomeo stesso fu commentato da un certo Bernardus provincialis [cioè di Provenza], che scrisse intorno al 1150-1160», le date tornano. La richiesta di Pietro peraltro non è strana: oltre al fatto che i due, come emerge dalla lettera, si sono conosciuti a Cluny «l’anno passato», l’abate cluniacense era una delle figure più prominenti della cristianità – per dirla in termini moderni: uno che, se chiede qualcosa, gli si risponde.
Certo, dice Pietro, «avrei preferito riversarti queste cose nelle orecchie da solo piuttosto che fartele leggere», ma io non posso muovermi né tu puoi venire, e inoltre la tua conoscenza è tale che anche in base a un resoconto potrai aiutarmi (e poi magari mi manderai quel tuo collaboratore, Bernardo, che mi ha fatto un’ottima impressione). E il resoconto di Pietro è invero accuratissimo. Riassumiamolo.
Allora, di solito sono afflitto dalla «malattia chiamata catarro quasi ogni anno», in genere due volte: una in estate, una in inverno; quest’anno mi è venuta alla fine dell’estate e all’inizio dell’autunno. Nei mesi estivi ho avuto un sacco di problemi coi nobili del luogo e sono «stato costretto a rinviare il consueto salasso», anzi l’ho saltato perché ormai il catarro ce l’avevo e perché ho sentito da alcuni che poteva essere pericoloso. Da costoro ho anche appreso che un uomo con una malattia catarrale, salassato, «perde la voce in modo permanente o per lungo tempo.» Ho sentito dire tante altre cose e allora ho ritardato il salasso di circa quattro mesi, «ma poiché il catarro non scompariva come al solito o nei tempi previsti, e temevo di incorrere in una sorta di febbre per l’eccesso di sangue o di catarro», ho finito col farlo e anche abbondante. «Ciò che i miei profeti avevano predetto è accaduto: il catarro non se ne è andato, né la voce è tornata al suo stato precedente dopo tre mesi.» Risultato, non sto bene ed espettoro molto. Mi hanno consigliato di assumere cibi caldi e umidi, «e quando ho obiettato che la malattia si sarebbe dovuta più ragionevolmente contrastare con cibi caldi e secchi, in modo che la medicina combattesse la malattia non con una sola qualità, ma con due, non sono stati d’accordo né mi hanno spiegato il motivo… dicendo che la gola, le arterie e certe altre cose di cui non conosco bene i nomi devono essere lenite con cibi umidi, non aggravate con cibi secchi». Hanno aggiunto che, oltre alla dieta, «dragagantum [acanto], issopo, cumino, regolizia, gli stessi fichi, o tutti insieme o alcuni di essi bolliti nel vino e dati come bevanda prima di coricarsi, potevano essere di beneficio. Cosa che ho spesso tentato, ma invano.» I medici qui hanno discusso a lungo «e sebbene a volte ciò che dicevano non mi sembrasse sufficientemente ragionevole, tuttavia ho ceduto, e ho seguito la dieta e assunti i rimedi che mi hanno consigliato per quasi tre mesi, come ho detto sopra. Ritengo che finora mi abbiano giovato poco o quasi nulla.» A questo punto aiutami tu.
Prima che la situazione peggiori, dimmi cosa devo fare, «e non sorprenderti se mi preoccupo non solo della salute, ma anche del recupero della voce»: sai bene che io, se i miei doveri non mi costringessero diversamente, resterei tanto volentieri muto, «ma poiché non la minima, bensì la massima parte dei miei doveri abbisogna della lingua o della voce, non potrei adempiervi se mi mancassero». La voce mi è necessaria non solo per leggere, per cantare, per celebrare i sacramenti, cosa comune anche a molti inferiori, ma soprattutto per l’alta e sublime predicazione della parola divina, quando Dio mi dice per mezzo del profeta: «Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce» [Isaia, 58, 1]. Come posso allora gridare senza voce? «Per dirla in breve, l’uso della voce di Dio è necessario per me e per ogni rettore della Chiesa di Dio, così che, se sono pigri, devono essere cani muti incapaci di abbaiare, oppure, se non lo sono, devono usare la voce di Giovanni Battista: “Io sono la voce di uno che grida nel deserto”.»
La cosa interessante è che abbiamo la risposta di maestro Bartolomeo, il suo consulto scritto, dal quale si evince tra l’altro che in effetti mandò Bernardo a visitare Pietro.
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