Una persona che sia una (Anselmo Giabbani, «Colloquio monastico», pt. 2/2)

(la prima parte è qui)

ColloquioMonastico Dopo la prima parte dialogica, a domande e risposte, anche il resto del volume di Anselmo Giabbani1 è ricco di affermazioni decise e spunti molto interessanti, forse anche di più e di sicuro troppi per poter darne conto adeguatamente. Mi soffermo quindi su un brano scelto a mo’ di esempio, scelto tra quelli che più ho sottolineato: il paragrafo 9 del capitolo VI, La vita contemplativa, dedicato alle Attività del monaco.

Il p. camaldolese parte dalla considerazione, tratta dalla Regola di san Benedetto, che il monaco deve lavorare: ma di che «lavoro» si tratta? La storia mostra come nel tempo «i monaci hanno fatto di tutto», smarrendo però talvolta in questo «fare» il senso della propria identità, cioè allontanandosi da quello che è il suo modello unico e immodificabile, il Cristo, la sua vita. Il monaco deve rifarsi all’attività di Gesù («che guarda più all’essere che al fare») e all’«unità del suo esistere e del suo agire, del suo dire e del suo fare; l’unità della sua persona nella duplice natura umana e divina».

Unità è la parola chiave della riflessione del p. Giabbani, e non soltanto in questo paragrafo, unità che discende appunto da Gesù e si estende, all’individuo, all’umanità, alla Chiesa. Concetto difficile se lo si legge nella storia secolare, anche pericoloso; concetto che si può dire sia stato smontato dai fatti spaventosi della modernità, messo in crisi, tra l’altro, dalle scienze psicologiche e dalle arti. Ecco la prima indicazione precisa del p. camaldolese, uomo del XX secolo e consapevole dei pericoli: «Lavorare a questa unità è la prima attività del monaco cristiano: fare di se stesso molteplice e diviso una realtà unica, una persona che sia una, coerente, libera, responsabile, identica a sé in privato e in pubblico, davanti a sé e davanti a Dio».

Ma unità non è autonomia, e tantomeno isolamento, ed ecco la seconda indicazione precisa: «La seconda attività del monaco è formare una comunità. Gli uomini, esseri sociali per natura, traggono enormi vantaggi dall’essere in comunità, ma incontrano anche gravi difficoltà a costruirsi in comunione con gli altri». Questa attività è minacciata dallo sviluppo sociale contemporaneo, in particolare dal combinato industriale-tecnologico, che produce una «schizofrenia generale» ed è all’origine del «male più profondo che affligge l’umanità del nostro tempo: l’incapacità di vivere e lavorare insieme». Di fronte a tale disgregazione, che ognuno può verificare nelle varie forme di «comunità» cui tende, o che sceglie, o in cui si trova inserito (gruppi, classi, uffici, squadre, assemblee, associazioni, quartieri, ecc.), il p. Giabbani ritiene che «una comunità adunata, per nessun interesse umano, ma per il solo desiderio di vivere insieme, si presenta o dovrebbe presentarsi come antidoto di enorme valore sociale, oltre che evangelico».

Nell’adunata monastica, «la cui unica legge è l’amore di Cristo», occorre che il singolo monaco cerchi e trovi il suo posto per quello che è, e non per quello che pretende di essere; occorre che sia conosciuto e accolto per le sue capacità e debolezze. Il p. Giabbani chiama questo complesso di atteggiamenti «disposizione di umiltà eguale a verità», raggiunta la quale l’unica preoccupazione successiva rimane soltanto quella di «contribuire alla comunione fraterna».

L’unità. Non so se sia più raggiungibile, se mai lo è stata. Nella coscienza-bagagliaio ci entra di tutto, e mi pare che valigie, borse, sacchetti, confezioni vuote, ombrelli e vecchi stracci sporchi siano comunque tenuti insieme, praticamente, dal contenitore, in un modo o nell’altro. Quando si viaggia il bagagliaio di necessità, o di norma, è chiuso, lo si apre soltanto quando ci si ferma, in disparte, e ci si guarda dentro sempre da soli, o al massimo in due. L’unità mi pare un miraggio, ma non posso che ammirare chi vi crede e la persegue mettendosi in gioco integralmente, come fanno i monaci auspicati da Anselmo Giabbani.

(2-fine)

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  1. Anselmo Giabbani, Colloquio monastico, Edizioni Dehoniane Bologna 1983.

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