Il numero più recente dei «Quaderni di storia religiosa medievale» (24, 1/2021), curato da Frances Andrews ed Eleonora Rava, è dedicato a Ripensare la reclusione volontaria nell’Europa medievale ed è di eccezionale interesse. I dieci saggi che vi sono raccolti, di sintesi e di approfondimento di casi esemplari, coprono un arco temporale che va all’incirca dal XIII al XVI secolo e offrono un preciso orientamento su un fenomeno misterioso, affascinante, tutt’altro che omogeneo e prevalentemente femminile: «Occorre comunque distinguere tra due forme principali di vita solitaria, entrambe ordinate a un ritiro totale dal secolo: l’eremitismo, dai caratteri mobili e aperti, di ascendenza prevalentemente maschile, e la reclusione, un comportamento ascetico con una fisionomia tipicamente stanziale, praticata in luoghi chiusi soprattutto dalle donne» (Alessandra Bartolomei Romagnoli).
Ma prima di provare ad addentrarmi nelle meraviglie dell’erudizione, cioè dello studio profondo dei documenti sopravvissuti, devo sottolineare la potenza evocativa della «lista» che proprio la professoressa Bartolomei allega al suo saggio di ricognizione della letteratura agiografica1, una lista di «carattere puramente orientativo» che per ben sette pagine elenca in ordine cronologico nomi di donne, suddivise tra eremite e recluse e ulteriormente catalogate in sottocategorie: eremita in un monte, eremita in una grotta; reclusa presso una chiesa, reclusa domestica; eremita in un’isola, eremita un bosco, reclusa in una cella, in un lebbrosario, presso la cattedrale; reclusa vallombrosana, francescana e camaldolese; eremita in grotta poi badessa, badessa poi reclusa…
Donne esistite, con nome e luogo, e da un certo punto in poi anche cognome: Lutgarda di Tongres, Eliena di Laurino, Chelidonia di Subiaco e Verdiana di Castelfiorentino, «murata nella sua cella-sepolcro in un silenzio abissale e definitivo»; Monegonda di Chartres, Berta di Blangy, Liutbirga sassone, Viborada di Turgovia, martire della cella (in una miniatura sangallense si vedono i suoi uccisori penetrare dal tetto della cella, svellendo le tegole, per aggirare la porta sbarrata); Umiltà da Faenza, Cristina da Markyate e Cristina l’Ammirabile, Herluca di Bernried, Alpaide di Cudot, Marie Robine di Avignone, «reclusa stipendiata dal papa» Clemente VII; Benvenuta Boiani, Vanna da Orvieto e Gherardesca da Pisa, Filippa Mareri, Oringa Menabuoi e Diana Giuntini; e Giuliana di Norwich, «la donna inglese di cui si conosce soltanto il nome e che depone nel suo libro una dottrina di eccezionale densità speculativa»; e Ugolina da Vercelli, registrata come «eremita selvaggia»…
Una schiera impressionante che pare quasi di poter vedere, un «rivolo di sante donne», «una popolazione silenziosa e sommersa», donne di varia estrazione che rifiutano i ruoli assegnati, una rete di «ambienti collegati tra loro da una fitta trama di relazioni e scambi reciproci», un mare di testi agiografici (redatti esclusivamente da uomini, va da sé), rare «auto-agiografie, che sono memoriali e diari dell’anima», volti, gesti, aspirazioni, «libera e solitaria ricerca di Dio»…
Per non parlare di coloro che sono rimaste anonime, come la reclusa irlandese citata nella Vita di san Colombano di Giona da Bobbio:
Mentre [Colombano] è immerso in tali pensieri, gli accade di passare presso la cella di una donna consacrata a Dio. In un primo momento la saluta con tono umile, poi comincia a rivolgerle, secondo il suo stile, un’ardente esortazione. Questa, vedendo la veemenza crescente del giovane, gli dice: «Sono fuggita e sono partita per la guerra facendo tutto quanto mi era possibile. Ho lasciato la mia casa quindici anni fa e sono giunta in questo luogo di peregrinazione; mai, grazie all’aiuto di Cristo, dopo aver posto mano all’aratro, mi sono voltata indietro, e se la debolezza del mio sesso non mi fosse stata di ostacolo, avrei raggiunto, attraversando il mare, un luogo di peregrinazione ben più remoto. Ma tu, nel pieno ardore giovanile, ti attardi nella terra nativa…?»2
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- Alessandra Bartolomei Romagnoli, Le recluse nello specchio della letteratura agiografica. Appunti per una ricerca, in «Quaderni di storia religiosa medievale» 24, 1/2021, pp. 51-105.
- Giona, Vita di san Colombano, I, 3, Abbazia San Benedetto, Seregno, 1999, pp. 46-47 (il corsivo è mio).