Andando per il mondo a predicare la Parola di Dio capita di incontrare persone di molte specie diverse, soprattutto in questo tempo attrversato da tali novità e cambiamenti (sociali, economici, politici). È necessario dunque essere pronti e disporre degli argomenti e degli strumenti retorici adeguati alla bisogna; e questo non è troppo difficile, se si pensa a tutti i testi e commenti custoditi nei monasteri e nei conventi. Ancor più è necessario conoscere coloro ai quali si predicherà, le loro debolezze e le loro cadute – massime di queste sconosciute: le donne. Le Scritture e i Padri ne hanno parlato, ma chi sono quelle che s’incontreranno là fuori?
Il bel libro Prediche alle donne del XIII secolo (sia le prediche, sia le donne), appassionatamente curato da Carla Casagrande nel lontano 1978, raccoglie non molti ma significativi esempi di sermoni (i cosiddetti sermones ad status) tratti da due famosi manuali di predicazione e da una raccolta di «esempi», opera di autori domenicani e francescani1.
L’indice di questi manuali è «ecumenico», quello di Umberto da Romans2, ad esempio, conta cento capitoli e va da un generico Ad omnes homines (maschi) a un Ad mulieres malas corpore, sive meretrices, ultimo gradino immaginabile dell’umana stirpe, approdo abissale dell’ultima «rampa» cominciata sei capitoli prima con un Ad omnes mulieres (le religiose vengono prima, vicine ai loro omologhi maschi). Il predicatore domenicano, più sensibile di quello francescano alle distinzioni di stato sociale, non è cieco di fronte al suo uditorio e deve saperne cogliere le differenze per adattare il suo discorso. Così, sarà pronto, più ancora del suo «collega» (talvolta concorrente), a parlare a tutti i tipi possibili tipi di individui religiosi (57 capitoli), ma anche laici: gli studenti, i nobili (buoni e cattivi), i cittadini e i contadini, i poveri, i pellegrini, i malati, i lebbrosi e… le donne, appunto.
Caro confratello, sii pronto perché… ecco la formula che sembra quella di un esploratore: Sunt quaedam, «Ve ne sono alcune che…» Tra le nobili e le ricche ve ne sono alcune che si dedicano solo all’apparenza, allo sfarzo, al lusso; che amano i loro figli «solo di un amore umano e carnale»; che si dimenticano di fare l’elemosina; «alcune si prendono tanta cura della casa e delle altre cose di questo mondo che hanno ben poco tempo per ciò che appartiene a Dio»; alcune si disinteressano della famiglia e pensano soltanto a se stesse. Tra le serve dei ricchi ve ne sono alcune che rubano, che mangiano e bevono di nascosto, che agitano la casa con il loro comportamento «come quelle continue gocce che cadono sulla casa quando piove», che giacciono senza pudore con i servi e che traviano la nobile prole, o in prima persona («Quanti figli di famiglia e quanti ragazzi che si vergognavano di andare con le donne di strada persero con queste donne la loro verginità!»), o indirettamente portando messaggi e favorendo incontri proibiti. Tra le contadine ve ne sono alcune «sciocche e ingenue», che credono a tutto, in particolare alle famigerate indovine; che non seguono i riti in chiesa e pregano a modo loro; alcune che litigano con tutti o che cedono facilmente alla carne e trascinano con sé nel peccato gli uomini3. Vi sono infine le prostitute, corrotte e corruttrici, più amare della morte, «latrine delle più turpi abiezioni», «le incendiarie del mondo», incendiariae mundi…
Per tutte costoro le Scritture sono un serbatoio inesauribile di esempi virtuosi da additare di spose obbendienti e sottomesse (e capaci di influenzare positivamente i mariti), di vedove che si redimono e rinunciano a nuove nozze e al mondo, di vergini incorrotte che si guardano «dalle frivolezze che ci sono nei canti e nelle danze», che «davanti a ogni genere d’uomo devono ritrarsi spaventate», che non se vanno in giro ma restano ben rinchiuse, che tacciono e che aprono il loro cuore solo a Gesù.
Se poi queste virtù sono praticate in convento, ancora meglio, ma attenzione, alla clausura fisica deve corrispondere anche quella spirituale: «Ci sono infatti alcune religiose che hanno rinchiuso il corpo ma non il cuore, anzi il loro cuore vaga per tutto il mondo». E non è finita, perché ce ne sono altre, impazienti, curiose, indisciplinate, «che, non solo non rinchiudono il cuore, ma anche, il che è ancora peggio, non tengono chiusa la bocca».
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- Prediche alle donne del XIII secolo, testi di Umberto da Romans, Gilberto da Tournai, Stefano di Borbone, a cura di C. Casagrande, Bompiani 1978 (numero 9 della gloriosa collana «Nuova corona», diretta da Maria Corti).
- De modo prompte cudendi sermones circa omne hominum genus, secondo libro del De eruditione praedicatorum (tra il 1266 e il 1277).
- «Peccano infatti mortalmente quando peccano con un qualsiasi laico, più mortalmente con un chierico confermato negli ordini sacri, ancora di più con il loro parroco [povero parroco…], sommamente con un religioso che è morto per il mondo.»