Se è vero quello che scrive il cardinale Newman, e cioè che «la vita di un uomo si trova nelle sue lettere», allora potrebbe essere sempre più difficile rintracciare questa vita in noi e nei nostri contemporanei, a meno di trovare il modo di addensare tutto quello che nelle forme più diverse finiamo con lo scrivere anche oggi. Accadrà mai? Ne varrebbe la pena?
Piccola, debole premessa, per introdurre una nuova «rubrica», visto che monaci e monache, e in generale persone di religione, fino a poco fa per fortuna si sono scritti assai spesso e diffusamente, e noi possiamo leggere con profitto i loro epistolari. E così: «Dalle lettere».
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Da Ildefonso Schuster a Germain Morin, Roma, San Paolo, 23 luglio 1907.
Mio car.mo don Germano,
[…] Per discendere ora agli schiarimenti, Farfa dista da Roma un’ora di Ferrovia e tre ore di legno, e tre volte al giorno vi sono treni che si fermano alla stazione di Fara-Sabina. È a ridosso di una montagna e come luogo è mesto, ma di quella mestizia italiana mitigata dallo splendore del sole, dal verde dei boschi e dal sereno del cielo. La più gran parte della Badia è in potere d’un Ebreo, persona però [sic] assai gentile e che apprezza bene ciò che possiede. I monaci hanno la Chiesa e 4 piccoli corridoi intorno a un chiostro, ma è in stato di quasi abbandono, per cui vi si dorme assai raramente, e solo vi si va la mattina a celebrare la messa. Dico i monaci, ma in realtà ve n’è uno solo, un sant’uomo che «ex acie fraterna» è passato da 10 anni alla vita eremitica, ed un fratello converso. Abitano una casa a circa ¾ d’ora lontana da Farfa, seguendo in ciò una brutta tradizione degli ultimi farfensi che metà dell’anno esulavano dal loro monastero perché l’aria estiva non è troppo buona, e perché la posizione della casa sopra il monte, con un panorama splendido, e con l’aria pura è certo migliore di quella di Farfa. Sarebbe qui il suo nido? Le difficoltà del freddo e della cucina non sono insuperabili. Carne se ne trova, ma non così pesce, né burro, che sono merce quasi sconosciuta. Al contrario v’è latte di capra, uova e erbaggi a sufficienza. La tranquillità è perfetta, assolutamente eremitica (come anche il nutrimento degli abitanti) nella maggior parte dell’anno, tolti forse i mesi estivi in cui il P. Abbate invia l’uno o l’altro dei monaci a cambiare aria alcune settimane; è allora in cui la tranquillità è sospesa. La biblioteca contiene qualche migliaio di libri, ma è arretrata di due buoni secoli, se ne toglie qualche suo estratto che io ho voluto collocare in degna sede nello scrinium di Farfa, come in luogo di predilezione. In una parola, la dimora in questa stazione di esiglio non è davvero la mia Farfa, per cui ogni volta che posso, scendo col monaco che ne è custode – si chiama don Placido [Riccardi] ed ha 60 anni – alla Badia, e là facciamo quel po’ di vita monacale, messa, ufficio divino, studio, ecc., che possiamo. Per me, ogni pietra, ogni colonna rivive e dove altri non vede che una casa povera e rovinosa, io mi ritrovo come in famiglia, in mezzo a personaggi storici e santi che l’uso mi ha ravvicinati e resi famigliari. Per terminare, occorre che Ella stessa, innanzi di fissare ogni piano, valendosi di qualche futura venuta in Italia, venga a Farfa e veda la cosa da vicino. […]
Mi creda in Cristo il suo umil.mo confr. D. Ildefonso1
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- Da Lettere di Ildefonso Schuster e altri saggi, a cura di Inos Biffi, Glossa 2011, pp. 74-75. L’epistolario tra Ildefonso Schuster, all’epoca monaco a San Paolo fuori le Mura, e Germain Morin, studioso già insigne e monaco benedettino a Maredsous, in Belgio, è a cura di Lambert Vos.
come mai parla di “esiglio” a Farfa? cosa aveva fatto per essere mandato laggiù?
Non si tratta di vero “esilio”, è una immagine figurata. Ci va ogni tanto, per studio e per valutare le possibilità di vederla “restituita alla vita monastica”.
🙂
Vedendo https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Farfa dev’essere un bel posto…