Nelle famose parole rivolte al padre del deserto Arsenio mi ero imbattuto anni fa nel libro di un certosino, che le assumeva quasi a motto del suo ordine; le ritrovo oggi al centro di un piccolo, eccezionale libro di Irénée Hausherr dedicato alla tradizione di quella particolare forma di vita e preghiera caratteristica della spiritulità orientale (sto semplificando) che è l’esicasmo1. «Fuggi, taci e stai tranquillo», o meglio: «Fuggi, taci e resta nella quiete», cioè pratica l’esichia: il grande studioso di patristica e spiritualità dell’oriente cristiano lo definisce addirittura «lo slogan che ha popolato il deserto», che, insieme con l’altro detto «Arsenio, fuggi gli uomini e sarai salvo», «pronunciato» come il primo da Dio all’indirizzo di un Arsenio orante, ha spinto i cristiani verso i deserti «molto più delle vite di Paolo, di Onofrio e di altri fanatici della solitudine».
Ma se da un lato il libro di Hausherr è semplicemente perfetto per provare a capire un fenomeno apparentemente lontano, come i suoi personaggi, approfondendo gli aspetti storici e il significato teologico delle sue tre direttive (la fuga dal consesso degli uomini, la filosofia del silenzio, l’assenza di preoccupazioni), dall’altro si rivela, a mano a mano che si procede nella lettura, un testo di psicologia di evidente attualità. Più esattamente, attraverso una fitta trama di citazioni e commenti, trasferisce al lettore moderno – a me, adesso – la conoscenza (stavo per dire: la sapienza) psicologica dei padri esicasti, «di Evagrio, Nilo e altri psicologi», come appunto dice Hausherr, che aggiunge: «Praticavano in maniera massiccia la psicanalisi, cercando nelle profondità del loro spirito le passioni che vi sapevano annidate o scomponendo gli elementi dei «complessi psichici». Ad esempio isolando teologicamente lo scopo della fuga dal mondo, cioè l’unione continuata con Dio, e analizzandone psicologicamente la necessità (se il solo ricordo delle cose e delle persone è sufficiente a impedire la preghiera, figuriamoci la loro presenza).
Ecco allora che, come premendo un pulsante che modifica la modalità di funzionamento di un apparecchio, ogni riferimento a fatti e persone realmente oggi esistenti è palese. Tanto per cominciare c’è abba Poemen che invita a riflettere prima di affrettarsi a condividere: «Se vedi o senti raccontare qualcosa di sensazionale, non correre subito a dirlo al tuo vicino». Barsanufio sconsiglia addirittura di chiedere «come stai?» a chi s’incontra, soprattutto se non si è «avanzati in età e in misura», perché «da simili intrattenimenti nascono negligenza, rilassatezza insubordinazione e la terribile sicurezza di sé»: la terribile sicurezza di sé – come non riconoscerla, diffusa e maligna? E sempre Barsanufio mette in guardia contro la prosopopea e la saccenteria: «Per quel che riguarda la conversazione, quando ti vedi sul punto di metterti a fare il teologo, sappi che il silenzio è più ammirabile e glorioso». Ancora abba Poemen ricorda che il silenzio esteriore è nulla senza quello interiore: «Ci sono quelli che sembrano stare in silenzio ma nel loro cuore giudicano gli altri: costoro parlano continuamente»; e lo fanno anche in virtù di quel pericoloso «sdoppiamento dialogico» che azzera qualsiasi «eremitismo interiore»: un’altra formula per definire l’esichia, che, ribadisce Hausherr, «è un affare tutto interiore: è la “guerra invisibile”, o piuttosto, il risultato della vittoria riportata in questa guerra contro tutte le potenze di turbamento, di agitazione, di passione» – le potenze del turbamento, non se ne fa forse esperienza quotidiana? «C’è in noi un discorso interiore», dice Nicodemo Aghiorita, un esicasta assai più vicino a noi nel tempo, «con cui ragioniamo e persino componiamo delle opere, giudichiamo per conto nostro e leggiamo interi libri, in silenzio, senza che la bocca parli», molto spesso non si tratta però di opere, commenta Hausherr, perché «moltissimi, per non dire tutti, sprecano la maggior parte del tempo a ragionare o sragionare, silenziosamente, secondo il flusso della loro affettività».
C’è poi Giovanni Climaco, molto severo, «il grande teorico dell’amerimnia», cioè dell’assenza di preoccupazioni, il fianco dell’esicasmo che maggiormente si offre all’accusa di egoismo, per via di quello che lo stesso Hausherr definisce totalitarismo: «La principale opera dell’esichia è l’assenza di preoccupazioni nei confronti di tutte le cose, sia ragionevoli che irragionevoli». E ancora il Climaco avvisa che non ci libereremo mai dalla tristezza fino a quando coltiveremo il nostro attaccamento al visibile, per quanto ragionevole… C’è quasi il rischio di una specie di ubriacatura a seguire il filo del ragionamento esicasta e dei suoi esempi, e la preghiera, col suo obiettivo lontano di unione con Dio, pare assumere le forme di un tunnel senza fine, se non dell’abisso… ma il miscredente, che non può (non ritiene possibile) rinunciare al visibile, è rimasto intanto sulla sponda della tristezza per l’irredimibile caducità di tale visibile…
E proprio per seguire il consiglio di Barsanufio («Quando ti vedi sul punto di metterti a fare il teologo…»), torniamo ad Arsenio (altro primatista di distanziamento sociale) e a uno dei suoi detti più memorabili e divertenti. Era inseguito, il vecchio Arsenio, in virtù della sua fama di santità, e tutti volevano da lui «una parola», cosa che lo seccava moltissimo perché turbava la sua solitudine. Un giorno si presentarono da lui nientemeno che un arcivescovo e un arconte e lo implorarono di dir loro qualcosa. «Dopo un certo silenzio Arsenio rispose: “E se ve la dico, la osserverete?”. Glielo promisero. E allora l’anziano disse: “Dovunque sentirete che si trova Arsenio, non avvicinatevi”.»
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- Irénée Hausherr, Solitudine e preghiera. La tradizione esicasta, traduzione a cura delle benedettine del Monastero Santa Maria madre della chiesa e San Benedetto di Pontasserchio, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2018.
beh, l’atarassia arrivava già da prima. Qual è la differenza? (domanda seria)
Il punto fondamentale secondo Hausherr è la declinazione cristiana. I concetti stoici o epicurei, anche quando, raramente, transitano nel discorso dei padri, cambiano di significato passando nel «linguaggio cristiano»: «L’esicasmo è un sistema fondato sull’esichia; non certo considerata come fine, quale lo era l’apatia nello stoicismo o l’atarassia nell’epicureismo. Come tutto nel cristianesimo, essa non è che un mezzo, forse il mezzo per eccellenza, ma in ogni caso un mezzo eccellente per arrivare al fine che è l’unione con Dio, la preghiera continua».
grazie!