Dice Teolepto di Filadelfia, monaco, eremita, metropolita di Filadelfia (l’odierna Alaşehir, in Turchia), nel 1319:
Il cenobio è stato definito cenobio (vita in comune) per questo motivo: un gruppo eterogeneo di monaci è venuto in una sola e unica dimora per avere in comune abitazione, vita, volontà e opinione, e per non avere nulla di proprio nel cenobio, cosa che susciterebbe discordia nella comune armonia, nell’accordo secondo Dio e nella professione che ognuno di voi fece con la promessa dinanzi a Cristo di prestare obbedienza al superiore e a tutti i fratelli.
Se uno si separa intenzionalmente dall’armoniosa comunità dei fratelli, il nemico trova subito un punto d’appoggio e tramite lui si affretta a controllare tutti gli altri. Di conseguenza si creano fazioni, dissensi, discordie, divisioni, agitazioni e confusione. Colui che è favorevolmente disposto verso un tale, è ostile nei confronti degli altri. Un altro è d’accordo con chi vuole, ma contraddice e combatte gli altri. E così il cenobio non è più visto come un corpo e perde la sua testa. Il superiore, o piuttosto Cristo, di cui noi tutti siamo le membra ed egli stesso è il capo di tutte le cose, è infatti ignorato.
Questa è la grazia del cenobio, tale è l’aiuto della comunità: una sola cinta per le celle, la stessa cappella per gli inni sacri, la stessa tavola per il cibo. Tutte le cose in comune e per tutti le medesime, cosicché i beni esteriori come gli interiori sono proprietà comune. E soprattutto quelli interiori. In questo modo tutti hanno gli stessi pensieri, gli stessi desideri e sono concordi nelle medesime cose, perché l’opinione di tutti è il giudizio di ognuno e inoltre la volontà di uno è la disposizione di tutti.
♦ Teolepto di Filadelfia, Discorso IX: Istruzione che definisce la condotta appropriata per i monaci che vivono in cenobio, 2, 3, 5, in Lettere e discorsi, cura di A. Rigo con la collaborazione di A. Stolfi, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2007, pp. 163-65.