«Nei cortili dei chiostri silenziosi» (Reperti 53: Corrado Govoni)

Palermo, Convento di Santa Caterina (foto Potts)

53. È inutile negarlo: se osservo la composizione del mio «interesse», uno degli ingredienti, non l’ultimo, è l’immagine malinconica dei monasteri, in particolare – va detto – di quelli femminili, tipica di un certo gusto che con la vera natura di questi istituti oggi nulla ha a che fare. Ne potrei anche rintracciare la genealogia letteraria – perché di letteratura si tratta –, dalle rovine preromantiche agli interni crepuscolari, ma ciò non cambierebbe l’attrazione che provo per le immagini che associano i conventi a generiche atmosfere di tristezza e, più precisamente, alla manifestazione dolce e dolente del passare del tempo.

«Dolce e dolente» è, ahimè, la chiave terminologica di questo sentimento, che ha trovato di recente uno sfogo inatteso in Armonia in grigio et in silenzio, di Corrado Govoni. È una raccolta di poesie del 1903 che inaugura una certa sensibilità, che sarà poi messa a punto e diffusa dai crepuscolari, traendo dichiaratamente motivi e toni da alcuni simbolisti francesi e in particolare dal poeta belga di silenzi e beghinaggi Georges Rodenbach. «Sono loro, le beghine, si direbbe», scrive infatti Laura Barile, curando una ristampa anastatica del volume1, «le capostipiti delle centinaia di suore, sorelle e candidi conventi finiti nella poesia di Govoni, Moretti, Palazzeschi di quegli anni»2.

Delle quattro parti di cui si compone il libro, una soprattutto, la terza, dà voce alla massima potenza al suddetto sentimento, a cominciare dal titolo, Rosario di conventi: trentadue poesie, prevalentemente in quartine rimate (e che rime!), che rigurgitano di silenzi, fiori secchi, piccole teche, nostalgie, morti, lente liturgie e iscrizioni quasi cancellate, incensi, rimpianti, dorature scolorite, acque stagnanti, erbe spente e passi malfermi, campane distanti: «un vivissimo caleidoscopio, … un ininterrotto elenco, … una continua esplosione di immagini collegate dal dèmone, non già del mezzogiorno, bensì dell’analogia» (Barile).

«Ho sempre amato le cose tristi», confessava Govoni in una famosa lettera a Lucini, e nella rassegna che allegava comparivano anche «tutte le cose tristi della religione»: la combinazione di «letteratura triste» e chiostri è per me quanto più irrealistica tanto più irresistibile, come in queste tre strofe di Le voci de le suore:

Dietro le grate, le nascoste suore

rispondono a le virtuali parole,

e le lor voci sembrano un sentore

di basilico e d’appassite viole.

 

O voci de le suore di clausura,

voci che sanno d’un poco di vecchio,

come ogni cosa de la clausura,

come una cosa dentro ad uno specchio!

 

Voci temprate ne le liturgie

de l’incenso, vocine inconsistenti

come quelle de le fotografie

di defunti o lontani e cari assenti!

______

  1. Corrado Govoni, Armonia in grigio et in silenzio, postfazione di L. Barile, Scheiwiller 1989.
  2. E Montale aggiunge, nel 1965, in morte del poeta: «Doveva aver letto per tempo quei poeti francesi e belgi che furono i veri iniziatori della poesia che potremmo definire del marché aux puces».

 

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