Non posso negare come talvolta, in questa quotidiana frequentazione degli scritti di argomento monastico, io mi senta del tutto estraneo1. La sensazione è assai più comune nel caso di testi contemporanei, e la cosa non sorprende. Ciò accade spesso, e non senza ragione, quando cerco di avvicinare testi che non si rivolgono a tutti, ma che sono concepiti e scritti (o pronunciati) da monaci per monaci. Come nei congressi medici, tuttavia, anche se il linguaggio è specialistico, e anche se l’argomento del dibattito è la professione stessa, i pazienti vengono sempre evocati, così i non credenti non sono mai completamente assenti anche quando una delle più stimate badesse di oggi riflette sull’«Essenza e grazia della nostra vocazione contemplativa e profetica»2.
L’essenza della vita contemplativa, scrive s. Monica Della Volpe, badessa del monastero cisterciense di Valserena, è, da sempre, la ricerca di Dio. Il risultato dell’oblio di questa cruciale tensione è il mondo come lo vediamo oggi, colpito com’è dalla dimenticanza di Dio, dalla «silenziosa apostasia della fede». L’attuale deriva occidentale è «l’operazione diabolica nel mondo post-cristiano, che vorrebbe chiudere il cerchio iniziato con la rivolta primordiale di Satana a Dio, coinvolgendo con sé l’umanità e il creato tutto». Ecco, è qui che mi sento immediatamente proiettato all’interno di un disegno dai toni apocalittici, del quale sarei inconsapevole vittima e al tempo stesso attore. Et pour cause, direbbe la badessa.
«Il mondo è pieno di morte», continua Della Volpe, e di fronte alla «tenebrosa gloria di Satana» non possiamo restare indifferenti. Di certo non lo possono le contemplative, ma nel «noi» cui fa riferimento la badessa, parlando alle sue compagne di viaggio, si avverte spesso l’eco di una comunità più larga, quella degli esseri umani: «Siamo chiamate, da Colui che abbiamo incontrato e seguito, a una vita umana; ci spiega Lui cosa questo vuol dire e come e perché questo debba essere diverso dalla vita delle belve – per capirlo dovremo anche passare attraverso l’esperienza delle belve, passioni, tentazioni, che si trovano dentro di noi e attorno a noi». Ed eccomi qui fratello delle belve, trascinato da passioni e tentazioni, sordo al richiamo di «una vita degna del nome di umana», perché sordo alla domanda posta dalla Parola.
La Parola di cui parla la badessa, con toni ora ispirati, viene incontro all’individuo, lo soprende e lo interpella, e l’individuo si mette seduto e affronta il «lavoro di capirla e di interiorizzarla, di iniziare un dialogo, anche una lotta, un corpo a corpo» con uno scopo preciso, quello di rispondere. «L’essenza della nostra ricerca di Dio», conclude temporaneamente Della Volpe, «è in questa risposta; non c’è vita contemplativa se non c’è davvero, al centro dell’essere, questa risposta». Ed eccomi qui cittadino di «un mondo di chiasso e frastuono, per il quale anche la parola è altro», cioè, per lo più, chiacchiera superficiale.
Estraneo, sordo, distratto. Stando ai meccanismi retorici, adesso dovrei obiettare e avversare con un «ma» un discorso che, comunque, è scevro di aggressività e durezze. E invece non lo farò. Sia perché non potrei ribattere sullo stesso piano, non inserisco la «posizione esitenziale» della monaca cisterciense – e tantomeno la mia – in un disegno di cui sarebbe inconsapevole: non vedo infatti alcun disegno, né percepisco alcuna domanda; sia perché credo che l’obiezione a ogni costo non sia sinonimo di «dialogo», bensì un automatismo improduttivo.
Quindi mi limito a un sommesso «no», anche se probabilmente alla badessa proprio questo «no» suonerebbe come una conferma.
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- Non mi sfugge che il mio confronto di non credente con questa dimensione della fede cristiana si sia basato sinora soltanto sulla parola scritta. Tale parzialità mi pare almeno un po’ mitigata proprio dalla centralità che la parola (non soltanto la Parola) ha appunto in questa fede.
- Monica Della Volpe, ocso, Profezia della vita integralmente contemplativa, in «Forma Sororum» 2/2017, marzo-aprile, pp. 90-107.
Forse con “belve” la badessa non si rivolge ai non credenti ma a quelle persone schiave delle passioni, dipendenti dalle tentazioni ecc.? Perché non è che l’essere non credente comporti per ciò stesso il fatto di non sapersi o non volersi dominare ecc. Ma, non avendo letto il testo (e con tutti quei riferimenti a Satana non penso mai lo leggerò), la mia è solo una domanda.
E’ molto probabile.
Tra l’altro, non vorrei aver dato l’idea di un testo polemico o aggressivo. Al contrario. Diciamo che è quasi inevitabile, sviluppando certe posizioni, suscitare certe altre impressioni.