Dopo quella di Eutizio e Fiorenzo, e quella di Romano e Lupicino, grazie al già citato articolo di Edoardo Ferrarini1 sono andato a leggere la storia di Paterno e Scubilione, un’altra storia di amicizia monastica nel contesto della letteratura agiografica altomedievale. La storia, bella e struggente, è narrata indirettamente da Venanzio Fortunato nella sua Vita di san Paterno, ed è accessibile nella ricca edizione curata da Paola Santorelli2. «Indirettamente» perché la Vita di san Paterno è in realtà un esempio di agiografia episcopale, nella quale però lo spazio dedicato alle imprese di Paterno come vescovo è assai minore di quello riservato alla sua vicenda precedente come monaco e abate, e appunto come amico del confratello Scubilione.
Il contesto storico e geografico è molto interessante: siamo nella prima metà del VI secolo (la nascita di Paterno, a Poitiers, è collocata intorno al 480) nella regione della Bassa Normandia, tra Coutances, Saint-Pair-sur-Mer (Pair è forma recente di Paterno), Avranches e il Mont-Saint-Michel. Ci sarebbero molte altre cose da annotare, ma seguiamo Paterno, che già da piccolo entra nel monastero di Saint Jouin de Marnes e in breve, per le evidenti doti, viene nominato cellario.
Si capisce che il ragazzo è destinato a grandi cose, ma a Saint Jouin c’è anche Scubilione, di qualche anno più anziano, e qui scatta qualcosa, perché al di là delle parole usate da Venanzio per raccontare i fatti, in sostanza i due decidono di scappare insieme verso nord, appunto verso la regione di Coutances: «Abbandonati i parenti per amore di Cristo, scelsero con convinzione di diventare pellegrini in Constantino pago condividendo lo stesso alloggio, portando solo il libro dei salmi».
Vanno a vivere in una caverna, ma la fama di santità nasce e si diffonde in fretta. La coppia si muove, cominciano i miracoli, assegnati sistematicamente a Paterno: è lui che concretizza, spesso su passaggio di Scubilione. Come in un caso che ci dice molto delle personalità dei due. Un giorno, pur essendogli rimasta soltanto una mezza pagnotta, Paterno non esita a darla in elemosina: «L’uomo di Dio desiderava dare quel pane in beneficenza piuttosto che riporlo nello stomaco [in ventrem recondere]»; Scubilione «mal sopportò ciò, per il fatto che non aveva trovato, dopo il lavoro, ciò che potesse ristorare la sua stanchezza». Non ti preoccupare, lo rimprovera Paterno, Cristo non dimentica i suoi, e infatti, «senza indugio», arriva un loro discepolo carico di cibarie. E poiché dopo mangiato bisogna anche bere, ecco che Paterno batte una roccia con un bastone e fa sgorgare una fonte.
Che fossero proprio scappati lo si evince anche dal fatto che il loro abate, Generoso, dopo tre anni si mette a cercarli. Quando li trova, a Scissy (l’attuale Saint-Pair-sur-Mer), si raccomanda a Paterno di non eccedere nelle durezze e nelle privazioni, ma gli concede di restare lì, mentre si porta via Scubilione. E qui è bello immaginare ciò che Venanzio ha deciso di non dirci, forse perché non lo sapeva, quando scrive di Generoso che permise a Scubilione «di ritornare dal fratello dopo un breve intervallo di tempo»: che cosa gli avrà fatto cambiare idea?
Il racconto di Venanzio si contrae. Molti anni passano in pochi capitoletti. Paterno diventa sacerdote, cresce in dignità ecclesiastica, altri miracoli, molti monasteri fondati, i due amici si devono separare. E qui Venanzio ci racconta l’unico episodio che può assomigliare a un litigio tra i due. Un giorno Paterno, che è ancora a Scissy, va da Scubilione, che si trova ad Avranches, e gli chiede se può portarsi via due colombe che lui stesso aveva allevato. Scubilione, già abbastanza triste per l’allontanamento dell’amico, gli risponde di no: «Possa io tenerle in cambio della tua presenza qui». Ah sì?, ribatte Paterno. «Rimangano presso colui che amano di più». Dopodiché se ne va e torna a Scissy, e il giorno seguente le due colombe si fanno quasi diciotto miglia (fere decem et octo milia3) per raggiungere Paterno…
Paterno è sempre più famoso, va persino a Parigi, chiamato dal re Childeberto. Infine, a settant’anni, intorno al 550, viene eletto per acclamazione vescovo di Avranches. Fa il suo dovere con grandezza e santità per tredici anni, fino a quando il lunedì di Pasqua, diciamo del 563, si ammala. Il primo pensiero è: Scubilione. L’amico si trova al momento al monastero del Mont-Saint-Michel e si è ammalato nel medesimo giorno. Paterno e Scubilione, allora, «si muovono l’uno alla volta dell’altro per vedersi prima di morire». Ma in quel periodo l’alta marea nella baia di Mont-Saint-Michel è eccezionale e i due cortei restano bloccati sulle rispettive rive. Così, «mentre i santi erano distanti tra loro circa tre miglia, nella medesima notte e con le stesse modalità [eadem nocte pariter], il beato Paterno e il suo santo fratello… lasciarono andare le pie anime dal mondo terreno verso Cristo in un felice viaggio».
I due cortei dirigono allora, l’uno all’insaputa dell’altro, a Scissy, dove arrivano nello stesso giorno e dove Paterno e Scubilione «insieme, nello stesso momento, furono sepolti l’uno con l’altro […] in modo tale che nemmeno l’evento della morte dividesse coloro che sempre una sola vita aveva unito»4.
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- Edoardo Ferrarini, «Gemelli cultores»: coppie agiografiche nella letteratura latina del VI secolo, in «Reti Medievali Rivista» XI (2010), 1 (gennaio-giugno).
- Venanzio Fortunato, Vite dei santi Paterno e Marcello, introduzione, traduzione e commento a cura di P. Santorelli, Paolo Loffredo i.e. 2015.
- In effetti, tra Saint-Pair-sur-Mer e Avranches ci sono circa 23 chilometri.
- I loro resti sono ancora lì, vicini.