«Post multas alterquationes» (Le «Gesta degli abati di Saint-Germain di Auxerre», pt. 2/2)

LesGestesDesAbbes(la prima parte è qui)

A mano a mano che Guido si avvicina ai suoi tempi le biografie diventano più lunghe e si aprono a qualche osservazione meno prevedibile, ma fino a tutto il XII secolo prevale quel «basso continuo» di cui dicevo. Vediamone un esempio tratto dalla vita dell’abate Gervaso (1115-1147), che fu alla guida di Saint-Germain per ben trentadue anni. Di origini nobili, come l’ampia maggioranza dei suoi colleghi, Gervaso fece costruire un priorato a San Florentino, con il consenso dell’arcivescovo di Sens, Enrico, e la ratifica scritta di papa Innocenzo II. Ottenne dal visconte di Saint-Florentin l’annullamento di certe consuetudini e contestò al conte di Nevers le pertinenze del castello di Saint-Germain; scomunicò Hugues le Manceau perché aveva eretto un castello su terre del monastero; acquistò il diritto d’uso di un bosco, ricevette in dono una casa e fece costruire un villaggio; arricchì l’altare principale della chiesa «di un pannello d’argento di gran peso e prezzo elevato» e il tesoro di vari arredi sacri; istituì la figura del monaco infermiere, assegnandogli trenta solidi dal censo di Cessy e venti da quelli di Saint-Saveur, Griselle e Sougères, gli attribuì anche i maiali e i denari dovuti dai maggiorenti di Saint-Germain e la consuetudine di agnelli e polli dovuti da Héry, Hauterive, Néron, Gurgy, Sommecaise, Ponessant e Villiers-sur-Tholon; e così via, con un formula abbastanza standardizzata: «Diresse la casa che gli era stata affidata con prudenza ed efficacia in tutte le questioni sia esterne che interne».

Centinaia e centinaia di questioni, senza contare quelle che non vengono menzionate: quelle non risolte, ad esempio, poiché in questo testo celebrativo c’è spazio soltanto per ciò che finisce bene, salvo qualche raro caso, come quello dell’abate Radulfo (1188-1208), che lascia il monastero carico di debiti.

Ogni tanto alla penna assai sorvegliata di Guido sfuggono piccole notazioni fuori canone. L’abate Ugo (1099-1115), quando ancora era un semplice monaco viene «notato» dal Signore che non gli permette «di restare a lungo negli ozi del chiostro [eum in claustro diu ocio vacare non permisit]»; l’abate Arduino (1148-1174) a causa del peso e delle malattie «si faceva portare in giro su un carretto [propter ponderositatem vel infirmitatem suam faciebat se deferri in carrum]»; l’abate Guglielmo (1208-1221) era un uomo giovane, grazioso, astuto, istruito, di vita onesta e religiosa, ma zoppicava da un piede («claudus tamen uno pede»); l’abate Gualtiero (1238-1243) era un uomo generoso, pio, misericordioso, alto e bello («statura procerus, vultu decorus»).

Nelle Gesta non v’è traccia di miracoli, neanche uno, né in fondo vi sono molti riferimenti alla vita spirituale dei monaci, se non quelli per così dire obbligatori. Vi si trova invece la testimonianza di un quotidiano e ininterrotto lavoro, necessario per mantenere vivo il monastero, per alimentarlo, ampliarlo e ricostruirlo dopo gli innumerevoli incendi, renderlo più sicuro, più indipendente, più ricco – un centro di potere temporale in una rete fitta e instabile di altri centri di potere, e non libero, nemmeno al suo interno, da scontri generati proprio da quel potere.

Nel 1277, alla morte dell’abate Giovanni, il predecessore di Guido, la comunità si spacca in due: una parte elegge Guido, l’altra Giovanni di Thianges, già alla guida del priorato cluniacense di Lewes, in Inghilterra. Niente da fare, non c’è modo di mettersi d’accordo: «Queste elezioni furono sottoposte al giudizio della sede apostolica e là, dopo lunghe dispute [post multas alterquationes], passati otto anni e sei mesi, furono sancite da una sentenza di Onorio, sommo pontefice della Santa Chiesa di Roma, che… pronunciò Guido abate il 27 agosto 12851». E l’antiabate Giovanni? «Un silenzio eterno venne imposto sulla sua elezione.»

(2 – fine)

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  1. «Anno Domini M° CC° octuagesimo V°, VI° kalendas septembris.»

 

3 commenti

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3 risposte a “«Post multas alterquationes» (Le «Gesta degli abati di Saint-Germain di Auxerre», pt. 2/2)

  1. Paola

    A mio parere, il latino resta di una chiarezza e di un’incisività, per non dire di una suggestione, che di rado trovo negli scritti in italiano attuali… Mi sento un po’ nostalgica… 🙂

    • MrPotts

      Il latino medievale ha per me il fascino delle lingue straniere che non capisco con l’aggiunta di un minimo grado di comprensione; mi sembra che dica qualcosa di più vero, ma credo che non si tratti altro che di estreme propaggini del “latinorum”.

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