Oggi ho imparato che un grande pittore di frati, monaci e monache è stato il genovese Alessandro Magnasco (1667-1749). Me l’ero tenuto «per dopo», come faccio con tante cose e consapevole di quanto sia aleatorio questo «dopo», archiviandolo con l’etichetta di artista strano e visionario. Ora, grazie a una nota di Gregorio Penco, ho scoperto che i suoi quadri, in particolare le sue relativamente piccole scene di genere (era assai noto come «figurista»), sono piene di monaci; e non soltanto come soggetto qualunque, utile per variare la sua ricerca su ombra e figura (la «frammentazione delle figure erose dall’ombra», come dice Fausta Franchini Guelfi), ma anche come tema specifico.
Molto attento al dibattito culturale del suo tempo, soprattutto nel suo lungo soggiorno milanese, Magnasco ebbe probabilmente familiarità con gli scritti del cappuccino Gaetano Maria da Bergamo e di Rancé, il fondatore della trappa. A suo modo, con le sue scene, intervenne – osservò e commentò quello che stava accadendo nel mondo monastico, nella sua quotidianità più concreta. Certo, le figure ieratiche dei monaci più rigorosi, le loro cupe meditazioni e i loro sai si prestavano perfettamente al suo discorso, anche dal punto di vista cromatico – un lividume marrone e grigio. Come dimostrano, tra i molti, questi tre esempi.
I Tre monaci camaldolesi in preghiera (1713-14) al Rijksmuseum di Amsterdam,

Alessandro Magnasco, «Tre monaci camaldolesi in preghiera» (1713-14), 54,5×39, Amsterdam, Rijksmuseum
I Tre frati cappuccini in meditazione nel loro eremo (1713-14), sempre al Rijks

Alessandro Magnasco, «Tre frati cappuccini in meditazione nel loro eremo» (1713-14), 54,5×39, Amsterdam, Rijksmusuem
e i Cappuccini attorno al camino (1725-30), che trovo straordinario per lo statico dinamismo della massa di frati che si stanno scaldando in un ambiente di dura povertà e per lo schieramento di polpacci e piedi che si protendono verso il fuoco (coll. priv.).
Ah, poi, c’è l’inquietante Seppellimento di un frate trappista (1710-20), al Museo Civico di Bassano, che si può vedere grazie ai preziosissimi fondi fotografici della Fondazione Zeri.
Insomma, devo studiare.