A volte – credo di averlo già detto – la lettura di testi di argomento monastico sconfina per me in qualcosa che assomiglia più a un vagabondaggio nel tempo. È un po’, ad esempio, che mi ritrovo a leggere epistolari di monache del Seicento e del Settecento, e riconosco per primo che spesso non si tratta di studio o approfondimento, ma proprio di evasione, di quella sensazione tipica, e per certi versi deprecabile e risibile, che si prova nel riascoltare voci perdute, alimentata anche da una grammatica e da un lessico antiquati. Oggi, poi, è così facile; e sia lode vera per questo agli archivisti e a chi rende il loro lavoro disponibile online. Non è certo una circostanza esclusiva dei fondi monastici, ma questo è il mio spunto di interesse, e questo seguo.
Così, in un censimento intitolato La documentazione femminile dei fondi monastici e conventuali della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, opera di Claudia Borgia, vengo a conoscenza delle lettere indirizzate dalla domenicana suor Anna Vittoria Mini, del convento di San Vincenzo di Prato, allo zio Pietro Bono Doni dal 1775 al 1789, all’epoca dell’ordinanza del granduca di Toscana Pietro Leopoldo che stabiliva la trasformazione di numerosi monasteri in conservatori («La sovrana… ci impose il nuovo metodo, ed il primo capo fu che non ci voleva più monache, come siamo state fin ad ora, ma bensì signore ritirate… Se ella mi vuol vedere monaca faccia presto, se poi mi vuol vedere signora, indugi un poco»). Si tratta di sessantacinque lettere, delle quali viene riportato l’incipit e che, come sottolinea la studiosa, sono prevalentemente «lettere di saluto, con richieste di oggetti o di accompagnamento a regali, a volte anche lettere che parlano di consorelle della suora, ma alcune di esse risultano particolarmente interessanti, perché rivelano in che modo i cambiamenti che si andavano verificando nella società e nelle istituzioni alla fine del XVIII secolo venivano vissuti da chi ne era direttamente investito».
Improvvisamente, tuttavia, questi incipit, letti uno dopo l’altro mi sembrano un romanzo, pieno di buchi che, come tutti i lettori di romanzi, mi diverto a colmare:
«1775. Per il nostro fattore le mando un panierino con un poca di pastina che spero le piacerà… Altro non posso dirle, se non che suor Anna Isabella sta male, e male di molto… Ieri suor Anna Isabella ebbe una grossa febbre, la quale gli si prese, con grandissimo freddo…
«1778. Vengo con questa mia, ad augurarle un nuovo felicissimo anno… Non vedendo alcuna risposta intorno alla proposta ragazza, scrivo in fretta due versi…
«1780. La ringrazio delle polizze, solo mi rincresce che a lei sono tutte le spese… Venga pur liberamente che abbiamo luogo per desinare, e per dormire, solo la prego ad avvisarmi quante persone… Se in casa avesse una chitarra, vorrei che me la mandasse, se non ce la, me ne compri una… Le mando il mazzo richiestomi da lei, e sono andata subito in cerca di fiori da queste monache…
«1782. Le mando conforme ella desidera una mostra di panno… Le mando du paste acciò se le goda in questa Pasqua per amor mio assieme con la signora zia… Ci è la camera preparata per lei, e per i cavalli la stalla ancora, non manca altro che la sua persona…
«1783. Le mando il pan di ramerino e du cantucci e non li lasci ai tarli… Ho sentito dalla sua la spesa della Paladina, la facci pur fare, che non costa poi di più…
«1784. Scrivo in fretta due righe, per accompagnarle questo giovane, da me proposto per ortolano… Le mando la schiacciata unta, che dovevamo fare, avanti Carnevale… Il non vedere risposta alcuna di due lettere mi fa stare in grandissimo timore di sua salute…
«1785. Mi è stata sensibile, la perdita della mia cara zia, alla quale ero tanto obbligata… La ringrazio infinitamente de limoni che molto gli ò graditi e gli goderò per me… Lei non risponde mai alle mie lettere, e mi priva anche di questa consolazione, di sentire il suo sentimento circa la nuova riforma… Non prima d’ora ho potuto scriverle, mediante l’occupazione, che abbiamo avuto, del nuovo vestiario…
«1786. Il garbatissimo Giovannello m’ha portato la lettera, domenica mattina… Ricevei il panierino, e sotto il fieno, ci trovai, di bellissima robba bianca fiorita, con due paia di guanti… Se non avesse ancora spedito per quell’affare che lei sa, scassi dal foglio l’uffizio divino… È un pezzetto che la salsiccia è fatta, ma per essere questo tempo umido non puol rasciugare…
«1787. Non ho potuto prima d’ora mandarle la salsiccia, poiché ci vuol tempo a farla… La gentilissima signora Pitti scrisse subito al padre Pitti per chiederle il medicamento… Le mando la salsiccia, che lei desidera, e se la goda per amor mio…
«1788. È un gran pezzo che non so nuove di lei, ancora io ho tardato a scriverle…
«1789. Ho tardato a scriverle aspettando sempre di vederla di persona, ma siccome vedo la cosa andare molto in lungo, le scrivo… La ringrazio infinitamente della cioccolata che ricevei per mano della Maddalena…»
(La documentazione femminile dei fondi monastici e conventuali della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, di Claudia Borgia, si può leggere qui.)