«Voci dal chiostro», di Pasquale Maffeo

Voci dal chiostro«Siamo come cartelli stradali che indicano al mondo quale sia la vera mèta da raggiungere, che cosa abbia veramente valore, per che cosa sia il caso di giocare l’esistenza.» Messi da parte preventivamente le perplessità e i dissensi che in un lettore come me provocano frasi come questa, bisogna dire che il volume di Pasquale Maffeo rappresenta un’occasione limpida per conoscere, come promette il titolo, le voci, i pensieri e i sentimenti di alcune monache di clausura. Il libro raccoglie infatti, senza filtri né manipolazioni, le risposte a un questionario di dodici domande diffuso dall’autore per via telematica presso quindici comunità monastiche italiane di ordini e congregazioni diversi. «Estratti di cronaca di un altro pianeta», li definisce, ma più che le informazioni contenute nelle risposte – non sono poche le testimonianze del genere a disposizione –, mi ha interessato la differenza di tono, di atteggiamento, di articolazione e stile.

Le domande proposte coprono molti temi: oltre a una generica richiesta di indicazioni concrete sul monastero, si va dalla vocazione al rapporto tra clausura e mondo esterno, dallo spirito della regola alla santità, alla giornata tipo, dal rapporto con Dio a quello con Internet. E le risposte sono lunghe, molto lunghe o anche telegrafiche; alcune hanno il sapore di formule messe a punto da tempo, mentre altre sembrano sgorgate sul momento; alcune dispiegano il consueto armamentario di immagini astratte, altre sono assai concrete; alcune sono per così dire collettive e altre individuali; alcune comunità ne escono francamente un po’ impettite, altre molto più distese; di alcune comunità si sente la struttura, di altre lo slancio; in alcune risposte affiora la rivendicazione, per non dire il monito, in altre la serena illustrazione di un modo di vivere e di sentire. Differenze, cosa che non stupisce in effetti, ma la loro emersione va ascritta a merito del libro, e al modo scelto per sollecitare e raccogliere gli interventi.

Ci sono anche tratti unificanti, e non potrebbe essere diversamente. La relazione sponsale con Gesù, la gioia e la contemplazione, il mistero della chiamata, la preghiera come riparazione, l’adesione al magistero della Chiesa, quella particolare torsione grazie alla quale l’essere «fuori dal mondo» è vissuto addirittura come un maggiore radicamento in esso, un autentico «rientro». Ho dovuto tenere a bada la voglia di ribattere soltanto davanti alle risposte riunite sotto la rubrica «Clausura e mondo “senza fede”», poiché vi ho trovato il solito dito puntato in maniera sommaria contro il soggettivismo e l’«efferato rifiuto della fede», ma è vero anche che le posizioni sono sfumate. «Nel silenzio del monastero si impara ad accogliere nel cuore anche il silenzio di fede dei nostri fratelli e sorelle che pensano di fare a meno di Dio»: un giorno sarei sbottato, oggi non più, e non perché abbia dubbi o mutato parere, tutt’altro, bensì perché apprezzo la formulazione discreta.

E infine mi piace quando in mezzo a tante parole dallo stile nel complesso molto sorvegliato e comprensibilmente trattenuto, sfugge l’avverbio che strappa un sorriso: «Alle 13.15 suona la squillante campanella del refettorio, finalmente c’è il pranzo».

Pasquale Maffeo, Voci dal chiostro. Monache di clausura raccontano, prefazione di M. Beck, Àncora 2013.

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