C’è un episodio dell Vita di Sincletica che mi ha colpito molto. In primo luogo per l’accento macabro, che, seppur non alieno al registro agiografico, mi è parso particolarmente acuto; inoltre per l’apparizione di un personaggio eccentrico e per la svolta che esso produce.
La Vita di Sincletica, amma del deserto, è stata a lungo attribuita ad Atanasio, l’autore della Vita di Antonio (ca. 355), con la quale presenta ampi parallelismi; ora non più, e si ritiene che sia un testo di origine egiziana da datarsi al V secolo. È un racconto dallo stile «faticoso, ridondante, ripetitivo, ma…, a differenza delle successive produzioni dell’agiografia orientale, lascia poco spazio al meraviglioso» (Lisa Cremaschi).
E infatti. Siamo alla fine della vita dell’amma, Sincletica ha ottant’anni, e il diavolo, che nulla ha potuto contro di lei «dall’esterno», la attacca dall’interno. Sincletica si ammala, prima ai polmoni, poi alle corde vocali: emottisi, febbri, perdita della voce – «[il Nemico] al pari di una lima, consumava senza sosta il suo corpo». Ma la donna non tentenna e continua la sua battaglia, con l’esempio della sopportazione, tanto che le sue compagne ne sono vieppiù edificate. Allora il diavolo attacca i denti: «Avendole guastato un molare, subito deteriorò la gengiva; l’osso si mosse, l’infezione si estese a tutta la mascella e intaccò le parti vicine; in quaranta giorni l’osso si consumò e dopo due mesi era forato. Erano annerite tutte le parti all’intorno; anche l’osso era corroso e a poco a poco si frantumava. Tutto il suo corpo era putrefatto e maleodorante tanto che quelle che la servivano soffrivano più di lei» (non sono in grado di citare l’originale greco, ma anche la versione latina è impressionante: «Tunc omnia circum putredine nigricantia, caro gangrena, ossa sphacelo paullatim, per se ipsa labem contrahentia absumebatur: exinde putredo: graveolentia totus corpus occupaverat»).
Le consorelle non ce la fanno, provano a bruciare incensi, «ma subito si ritraevano per l’odore spaventoso» («horribilem et cadaverosum odorem»); le suggeriscono di «spargere aromi» sulle parti lese, ma lei non vuole rinunciare alla sua «lotta gloriosa». La svolta si ha con l’arrivo di un medico, chiamato dalle compagne dell’amma affinché provi a convincerla. Lei, di nuovo, si ribella: Perché mi volete strappare a questo combattimento? Perché vi preoccupate della cose sensibili e non di quelle spirituali?
Il medico, pacato e razionale (lo ammetto, mi è piaciuto molto), trova le parole e la motivazione giuste: «Non ti offriamo un farmaco per curarti o recarti sollievo, ma per seppellire, secondo gli usi, quella parte corrotta e morta perché i presenti non siano contaminati. Ti faccio quello che si fa ai morti; ti applico una miscela di aloe, di mirra e di succo di mirto» (nella versione latina: «aloen ecce cum myrrha et myrto in vino maceratam applico»).
E Sincletica accetta il consiglio.
Vita di Sincletica, in Donne di comunione. Vite di monache d’oriente e d’occidente, a cura di L. Cremaschi, Edizioni Qiqajon – Comunità di Bose 2013, pp. 79-146 (l’appellativo di «perla ignorata da molti» dato a Sincletica si può trovare negli Acta Sanctorum, nel primo volume, al 5 gennaio).
Una delle “madri del deserto”, che potrebbero essere annoverate a pieno titolo tra i maestri dello spirito della Storia, eppure troppo poco conosciute…
Molto interessante l’articolo, come pure la Vita di Sincletica, che io ho letto. Ma certamente non è di Atanasio.
Grazie.
Sì, infatti l’ultima riproposta editoriale della Vita, che ha fatto quest’anno la San Paolo, è intestata allo Pseudo-Atanasio.