Il mondo fisico e la piega del tovagliolo

Passa il tempo e mi chiedo ancora il perché di queste letture e di questi appunti, e, oltre a questo, credo che la risposta più veritiera sia per provare a capire il fenomeno della fede (quella a me più vicina e familiare). Ma non in astratto, poiché su quel piano non mi riconosco alcuna possibilità di comprensione, bensì in una delle sue manifestazioni più concrete, pratiche, e soprattutto comunitarie.

Di qui la prospettiva monastica, per due ordini di ragioni. Anzitutto per la concretezza, appunto, delle ricadute etiche, se così si può dire. La Regola, sempre se così si può dire, mi pare una specie di precipitato della reazione fede-vita, e trovo significativo che l’ampiezza della Regola sia una misura variabile (come la legge, peraltro), dall’unico precetto «Segui il Vangelo» alle costituzioni più dettagliate, con tendenza alla sovrapposizione «uno a uno» di Regola e vita. (Si veda a mo’ d’esempio questo precetto tratto dal capitolo III delle Regole della Trappa: «Finita la refezione, metta ognuno i suoi rilievi su l’estremità della tavola, raccolga i minuzzoli, e rimetta la salvietta nelle sue pieghe, posandola su la ciotola, senza farla capovoltare; e a piè di questa, sopra una riga che è su la tavola, cucchiaio, forchetta e cultello; avvertendo che la cascata della salvietta torni per appunto su detta riga, e non più qua nè più là».) «Che cosa devo fare?» è domanda irresistibile (con l’accompagnamento di: «Mi venga detto una volta per tutte») e che, per altri versi che non sono capace di argomentare, mi spinge a pensare che la Regola preceda la fede, sia più originaria.

In secondo luogo sono, ovviamente, sensibile all’aspirazione di larga parte del monachesimo regolato di mettere ordine là dove il caos sembra prevalere – storicamente, culturalmente, psicologicamente. Mettere ordine insieme. L’ordine mi pare una combinazione di sogno e nevrosi suprema, e il monachesimo la incarna in maniera direi sublime.

So che l’ordine monastico non può essere disgiunto anche dalla carità, questo scivoloso sinonimo dell’amore, ma insomma, in questo tentativo di comprensione, faccio quello che posso, un po’ alla volta.

Nel complesso, direi che mi riconosco in questa frase di Valentino Braitenberg: «Molto probabilmente il confine tra ciò che è fisica e ciò che non lo è un bel giorno svanirà e allora si tratterà solamente di distinguere tra cose che “esistono oggettivamente”, alle quali tutti crediamo, e altre che appartengono alla fantasia del singolo. Il mondo della vita sta diventando, in misura crescente, oggetto della fisica e con ciò anche quello dei cervelli e dei fenomeni psicologici. C’è da aspettarsi che anche la fantasia del singolo e le sue sensazioni si lasceranno integrare in un’immagine coerente del mondo fisico, e in tal modo niente ne resterà fuori» (L’immagine del mondo nella testa, 2003).

Nel frattempo, riprendo a leggere Mectilde de Bar.

2 commenti

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2 risposte a “Il mondo fisico e la piega del tovagliolo

  1. Paolo

    Seguo questo blog da qualche mese e ogni volta che ne attingo qualche prelibatezza penso che questo è proprio ciò che mi piacerebbe scrivere, se volessi crearne uno. E allora lascio fare a chi lo fa benissimo e con grande competenza, poi magari, un giorno potrei abbozzare anche un piccolo intervento (comunque il post di oggi è superlativo).

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