È una cosa che faccio spesso: leggere un testo monastico normativo – non necessariamente una «regola» – e concentrarmi sugli aspetti meno legati alla fede e più quotidiani, anzitutto per avere con maggiore evidenza davanti agli occhi il volto e i gesti degli individui cui erano destinati quei testi e in secondo luogo per un motivo più confuso, un pensiero sballato probabilmente. Lo riassumo così: il sospetto che per alcuni la regola non discenda dalla fede, bensì all’opposto ne sia il risultato (non inevitabile, peraltro). Detto altrimenti, la regola precede la fede – cosa che vorrei saper argomentare con dovizia di riferimenti precristiani, e invece non so.
È con questo spirito che ho letto lo Speculum novitii (Lo specchio del novizio) di Stefano di Salley, monaco cisterciense inglese attivo nella prima metà del secolo XIII. Entrato da giovane all’abbazia di Fountains, nello Yorkshire del nord, ne diventò ben presto cellerario; fu poi abate di Salley (dopo il 1225), successivamente di Newminster, fino al 1247, quando chiuse il giro tornando a Fountains, dove morì come abate nel 1252. Lo Speculum, che s’inserisce in un genere letterario molto preciso, teso a fornire esempi da imitare (o più esattamente un’immagine nella quale rispecchiarsi per cogliere le eventuali difformità dal modello – e qui vorrei saper argomentare uno spunto che forse potrebbe collegare gli specula alle ricerche sui neuroni a specchio, e invece non so), lo Speculum testimonia la particolare sensibilità dell’autore per la fragilità, non solo psicologica, soprattutto dei principianti e possiede «il tono di chi ha trovato qualcosa di buono per sé e desidera trasmetterlo ad altri, perché il cammino sia più facile e l’esistenza più serena e gioiosa» (M. Fioroni).
Sarebbe sufficiente il primo capitolo, dedicato alla confessione quotidiana, che offre una specie di modulo fitto di «peccati» sul quale spuntare ciò che fa al caso proprio: ci siamo distratti dalla preghiera pensando «al riordino della casa, oppure alla caccia, alla corsa dei cavalli», abbiamo perso tempo, abbiamo pensato all’unione carnale, ci siamo lamentati per un dolorino, abbiamo fatto una battuta, siamo andati più rapidamente a tavola che nel coro, abbiamo accettato un regalo, abbiamo parlato, o pensato, male di qualcuno, ecc.: «Ecco lo specchio: nella misura in cui ti sarai reso conto di essere stato ferito in queste cose, apriti alla confessione». E se quando ti presenti in capitolo per essere giudicato ti vergogni, «pensa che chi ti proclama è il rasoio di Dio e ti vuole tagliare i brutti peli [Dei est novacula et pilos deformes tibi tollere vult]»; oppure «pensa che ti è stata mandata dal cielo una pietanza, cioè una correzione, che piace, anche se talvolta non è condita con cannella, ma con senape [quae non semper cinnamomo sed etiam sinapi aliquando condita]».
Per ogni mancanza, peccato o tentazione Stefano ha un pronto rimedio: quando sei impaziente, pensa alla pazienza del Cristo; quando ti ostini «in cose minime», sappi che sarai ripagato in ugual moneta; «quando ti esalti per la voce sonora, considera che ciò per cui ti gonfi non è che vento»; quando sei tentato da un cibo più buono, pensa al vas stercorum; «quando ti sollecita il desiderio di cavalcare, pensa a ciò che capitò a Dina, che era uscita soltanto per passeggiare» e fu rapita e violentata da Sichem; «quando ti risulterà noiosa la vita del chiostro», quando vorrai rivedere i tuoi famigliari, «quando sentirai battere la tavola che invita al lavoro»…
Ah, tre ultime cose: «stai attento a non toccare nessuno»; «quando si deve fare una pausa durante il lavoro, non ricercare gli angoli e non sedere lontano dagli altri» e infine «se non puoi mangiare ciò che ti viene posto davanti, non permettere in nessun modo che ti portino altro, ma mangiane un po’, così che sembri che tu abbia mangiato. Se qualcuno insiste affinché tu mangi, con un segno rispondi solamente: “Va bene, è sufficiente, basta così”».
Stefano di Salley, Speculum novitii. Lo specchio del novizio, a cura di Milvia Fioroni, Edizioni Glossa 2010.