Quando esploro le librerie di remainders, e non ho troppo tempo a disposizione, attivo una serie di alerts per i titoli contenenti parole che mi interessano. L’ultimo ritrovamento ottenuto con questo metodo è The Monastery, by F. Majdalany, un libretto stampato a Londra da John Lane the Bodley Head Ltd. nel 1945 (in complete conformity with the Authorized Economy Standards). È un breve ma esauriente resoconto degli ultimi mesi della battaglia di Cassino dal punto di vista del maggiore Fred Majdalany, del 2° Battaglione, 78ª Divisione, Ottava Armata. È un testo scritto in una lingua sorprendentemente piacevole che, oltre ai fatti, offre un quadro molto interessante della mentalità del soldato inglese di fanteria, non senza una dose di senso dell’umorismo (reso possibile, probabilmente, dall’essere scritto da un vincitore).
A parte ciò, è dominato, sin dal titolo, da un protagonista d’eccezione: l’abbazia di Monte Cassino, il Monastero, la chiave del sistema difensivo tedesco della Linea Gustav: «Coloro che combatterono a Cassino ricorderanno soprattutto il monastero fondato da san Benedetto. Ricorderanno per sempre come esso dominasse e oscurasse i loro corpi e le loro menti nei lunghi mesi dell’inverno 1944». Benedetto d’altronde, nota il maggiore, «non soltanto possedeva un sentimento profondo dei valori spirituali e intellettuali, ma anche un occhio particolarmente acuto, in senso militare, per il terreno»: l’abbazia, in posizione perfetta per controllare la valle del Liri (la via per Roma), era praticamente inespugnabile.
Eccola, la collina del monastero, apparire da lontano. Sulle sue scarpate si sono schiantati i neozelandesi, poi è stata presidiata dai nepalesi e adesso è la volta del battaglione del maggiore Majdalany, che la deve presidiare per quattro settimane. Di giorno tutti al coperto e immobili, troppo esposta qualsiasi postazione, di notte un’estenuante attesa degli eventi e un continuo scambio di colpi di artiglieria con i Boche, i tedeschi. Ogni punto visibile dell’edificio è contrassegnato da una sigla su una mappa e, mentre a casa, sui quotidiani, i vescovi si scagliano contro la necessità di bombardare l’abbazia di san Benedetto, gli artiglieri consumano le riserve di bombe al fosforo contro lo sleeping monster: «A mano a mano che l’oscurità calava, le esplosioni dei proiettili diventavano più luminose. E quando avevamo colpito tutti i bersagli possibili ordinavamo un’ultima scarica di colpi, solo per il piacere di vedere la silhouette della maestosa rovina illuminarsi per un momento… in tutta la sua lunghezza».
S’inventano nuove soluzioni, gli artiglieri, oppure si mettono a sparare perché sentono giungere dall’alto le note di Lili Marlene, o ancora si eccitano all’arrivo di un grosso cannone americano (soprannominato Horace) col quale finalmente possono colpire il Monastero in cima e non solo sui fianchi («L’abbiamo imbottito per bene, quel bastardo», dopo 43 colpi andati a segno). Ma lo stallo permane, al buio segue la luce, alla luce il buio, niente da fare: «Il dominio del Monastero era completo. Dominava ogni pensiero, ogni speranza e ogni timore. Non era più solo il simbolo, bensì l’incarnazione stessa della resistenza. Gli uomini che lo difendevano avevano perso importanza. Ora il nemico era il Monastero stesso. La parola attraversava ogni conversazione col ritmo monotono e instancabile del ruote di un treno – il Monastero… il Monastero… il Monastero…»
Dopo quattro settimane si presentano i polacchi a dare il cambio, e il battaglione si ritira nelle retrovie a riposarsi e ad aspettare l’ordine dell’offensiva decisiva, che puntualmente arriva, di notte. E il Monastero è ancora lì, che emerge dalla nebbia di una mattina di maggio «come un boxeur che si toglie l’accappatoio per salire sul ring per l’ultimo round».
Giovedì 18 maggio l’aggiramento è completato, la battaglia è vinta e i polacchi sono entrati nell’abbazia. La fanteria inglese si allontana sui camion, gettando un ultimo sguardo a Monte Cassino: «Se Benedetto fosse stato sul retro di uno di quei camion, forse si sarebbe lasciato scappare un sorriso. Non avrebbe potuto sentirsi altro che orgoglioso che la sua abbazia, distrutta ma ancora nobile, fosse diventata il memoriale della muta grandezza del soldato semplice di fanteria».
Adoro chi ha questa passione per libri per certi versi così “difficili” 🙂
Grazie per la visita, Anna, e per il commento.
Nel caso di questo libro, è stato proprio un incontro fortuito.