Il figlio di Maria dell’Incarnazione (Claude Martin, 1)

Benedettini cartesiani. Seguendo questo filone, che non poteva che conquistarmi istantaneamente, ho scoperto Claude Martin, figura di primo piano dei benedettini francesi del XVII secolo, in particolare della Congrégation de Saint-Maur, i cosiddetti maurini, i benedettini «neri» riformati (la scoperta di nuove distese della propria ignoranza unita a quella di qualche strumento per porvi parzialmente rimedio rappresenta sempre un momento di grande conforto). Mi interessa soprattutto come autore di una Pratica della Regola di san Benedetto, che è, come dire, una Regola al quadrato. Credo che gli dedicherò più di un intervento, a cominciare dalla sua biografia.

Nasce a Tours, nel 1619. Suo padre, commerciante in seta, muore quando Claude ha sei mesi, e la madre, Marie Guyart, ventenne, lo mette a balia e si ritira per qualche tempo «nella parte alta della casa paterna». Poi lo riprende per alcuni anni e lo affida infine, nel 1631, ai gesuiti per seguire la sua vocazione, che il matrimonio aveva ostacolato, ed entrare in convento. Non sarà una religiosa qualsiasi: da tempo visitata da grazie mistiche, nel 1639 parte missionaria per il Canada insieme con due consorelle e fonda un monastero a Québec. Passerà alla storia come Maria dell’Incarnazione, una delle più grandi mistiche delle orsoline claustrali (beatificata nel 1980 dal papa polacco).

Il dodicenne Claude è scosso – la storiografia si muove con molta circospezione sulla vicenda di questo «abbandono». Scrive il suo principale biografo, G.-M. Oury: «La prima reazione di Claude al ritrovarsi senza mamma è stupore e agitazione. Poi la ribellione, e con la ribellione la disperazione. È anche incitato a reagire così dai vicini e parenti che non hanno compreso nulla della partenza della madre e ne sono rimasti scandalizzati… Per alcune settimane il piccolo Claude continuò ad appostarsi alla porta del monastero».

Gli studi dai gesuiti lo aiutano a mantenere la rotta, ma, presentata due volte la domanda di ingresso, due volte viene respinto «”perché non aveva abbastanza capacità per diventare gesuita” e perché il suo udito non era abbastanza sottile». Il periodo di crisi che ne deriva si conclude nel 1641, quando entra al monastero di Vêndome, sede del noviziato della Congregazione dei maurini. L’anno successivo emette la professione.

Studia senza requie, viene spostato in varie case dell’Ordine, assume incarichi di sempre maggiore responsabilità, soprattutto nel campo dell’istruzione dei giovani, fino a che, intorno al 1653, «viene assalito – proprio a margine di un colloquio spirituale che una giovane gli aveva richiesto, pur vissuto in maniera assolutamente limpida e sobria – da un turbamento persistente». «Si trattava – scrive Oury – della passione che emergeva, in tutta la sua brutalità selvaggia, con il suo carattere aspramente irresistibile, in una natura tutto a un tratto risvegliata all’amore carnale.»

Dom Martin, che nel frattempo è approdato a Parigi, al monastero dei Blancs-Manteaux, si massacra: digiuni, cilicî, cinture chiodate, si rotola tra i rovi, tra le ortiche, sulla neve ghiacciata e infine «avvolge il suo corpo con una corda impregnata di zolfo a cui dà fuoco». Una battaglia furiosa, e insensata, durata dieci anni.

(1-continua)

La maggior parte delle informazioni l’ho tratta dall’ottima introduzione di Annamaria Valli a Claude Martin, Pratica della Regola di san Benedetto, Glossa 2009.

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