Si procede così, un po’ a tentoni, guidati dai propri «interessi», e si scopre che i macchiaioli sono stati molto sensibili ai temi dell’iconografia monastica, in particolare di quella femminile. Con un’interessante e non lineare sintesi di aspetti civili e pittorici. L’adesione alla nuova etica laica, di derivazione risorgimentale, che indica nelle figure malinconiche di suore e monache delle vittime di viete tradizioni religiose, si mescola con un’immagine idealizzata di fuga da un presente disordinato («il fascino sommesso di quelle esistenze lontane dal fragore dissonante del vivere quotidiano e dalle passioni mondane», Laura Lombardi) – a riprova della funzione simbolica che, periodicamente, il mondo claustrale svolge per lo sguardo laico. Un contrasto ambiguo che si sposa perfettamente con la dialettica luce-nero che mi pare accomuni la maggior parte dei dipinti di questo tema (ho molto da studiare al riguardo, non vado oltre una lacunosa propensione per la pittura ottocentesca).
Così, per esempio, nell’anno della proclamazione dell’Unità d’Italia, il veronese Vincenzo Cabianca (1827-1902) dipinge I segreti del chiostro, pieno di chiusure, bisbigli e cieli lontani,
e soprattutto dipinge una prima versione de Le monachine (noto anche come Il mattino), dove il sole si abbatte sulle tonache e sui volti delle monache raccolte fuori di un convento affacciato sul mare: «Alcune passeggiano, altre sono inginocchiate a pregare, altre ancora, immobili, sembrano contemplare, in quell’atmosfera ariosa, lo splendore del paesaggio, forse meditando – come è stato osservato – sulle proprie isolate esistenza, trascorse nella costrizione claustrale» (ancora Laura Lombardi).
(I testi da I Macchiaioli prima dell’impressionismo, catalogo della mostra, Padova 2003-2004, a cura di Fernando Mazzocca e Carlo Sisi; vedi anche il sito della mostra più recente Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli.)