Oggi è arrivato il nuovo numero di «Benedictina», che contiene alcuni estratti di un documento fantastico. Cioè del Liber Chronicus che don Giovanni Castagna, monaco a San Giacomo di Pontida, era solito redigere durante la sua permanenza nel monastero benedettino della congregazione cassinese (fondato alla fine dell’XI secolo e di area cluniacense). Gli anni in questione sono molto interessanti poiché siamo all’inizio del secondo dopoguerra, gli estratti pubblicati in particolare appartengono al biennio 1946-47. Mi ci sono buttato a pesce.
Il resoconto annuale è preceduto da uno «stato di famiglia» che elenca i residenti nel monastero. Nel 1946, per esempio, ci sono diciassette confratelli, due novizi, un «alunno monastico», nonché un orfano e un contadino. La prima cosa che si nota è che l’ufficio divino, l’opus dei, è molto intenso: dopo la sveglia, in media intorno alle 4.00, alcune «ore» vengono accorpate ma non sono infrequenti i giorni di messe continue, soprattutto in occasione delle varie ricorrenze, processioni, visite pastorali o in concomitanza di eventi eccezionali come la restaurazione della dignità abbaziale il 21 maggio 1946 («Oggi le funzioni si celebrano pontificalmente, ma sono troppo lunghe»). Senza contare i riti tenuti alla presenza dei fedeli, annotati con occhio sempre apprensivo circa la partecipazione («La gente è poca, forse per il tempo freddo e con violenti pioggie», «Consolante concorso di fedeli»).
Poi c’è la vita quotidiana della comunità, non sempre unanime, in relazione soprattutto a quanto resta escluso dai verbali del Capitolo. Si costruisce, ma non sempre le cose vanno per il verso giusto («Le balaustre sono a posto ma non in quel modo che si voleva dal disegno»), anche perché «sono in cinquanta a comandare e perché si cambia idea ogni momento». Si discute delle attività che coinvolgono i laici, come «il teatro per la gioventù», cosa che scatena una controversia interna non da poco: «Nonostante le aperte lamentele il P. Priore tirò dritto, fece iniziare i lavori e… affermò che non gl’importava nulla». Il tempo che scorre sempre uguale («18-20 aprile, triduo sacro: il solito degli altri anni»), le piccole sviste (la messa «secondo l’orario tradizionale doveva essere alle 5 ma il P. Sagrista si dimenticò»), i fatterelli («Mentre si svolgeva la processione D. Giuseppe sviene e vien accompagnato a casa: nulla di grave…», «Dopo dottrina il Rev.mo ha benedetto la macchina nuova del cinema»), gli ospiti curiosi (uno studioso peruviano, «specialista su Nostradamus», in cerca di almanacchi; un giovane bisognoso di aiuto, «un povero diavolo sfasato che crea romanzi intorno a sé fino a darsi per figlio naturale del Re d’Inghilterra»), i drammi (un postulante di Bari che viene espulso perché «indisciplinato e scostumato») e infine le tragedie («Una ragazza, sulla cui costumatezza tutti avrebbero giurato, è morta sotto i ferri dell’operazione abortiva»).
Un certo interesse storico hanno poi le notizie riguardanti la situazione politica, le elezioni, il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 («Si è richiamato l’indifferenza della Chiesa per l’una o l’altra forma»). Il contrasto tra la Democrazia cristiana e i Partiti socialista e comunista, le tensioni, i gesti simbolici, le ripicche, i confronti tra le diverse autorità: erano vicende cruciali, pur nel loro piccolo, per gli esordi della repubblica, ma a leggerle negli appunti concisi di don Castagna è inevitabile respirare una certa aria da Peppone e don Camillo. Come nel caso dell’«ignobile gazzarra» del 28 febbraio 1946, quando «tre individui rossi del paese… passarono su e giù per la contrada cantando ed eruttando bestemmie verso le singole Divine Persone della SS. Trinità, di Maria SS., il S. Padre, i Sacerdoti» e tracciando la falce e martello sui muri delle case: «L’indignazione del nostro popolo fu piena».
E più ancora la volta che un consigliere comunale, il capostazione, capo dei comunisti, volle portare una «fiammante bandiera rossa» in chiesa per la messa solenne in ricordo della «così detta liberazione». «Sulla porta D. Giovanni intimò alla bandiera rossa di recedere», il consigliere ne chiese la ragione e il monaco sacerdote rispose che non era né una bandiera nazionale né era benedetta. Il ferroviere comunista, prontamente, obiettò: «“Ma allora benediciamola adesso, qui, subito”. Don Giovanni sorridendo, s’inchinò, e commiatandosi disse: “Benedire la bandiera rossa? Ma le pare?”»
Pontida 1946-1947: dal Liber Chronicus di don Giovanni Castagna, a cura di D. Giovanni Spinelli, in «Benedictina» luglio-dicembre 2010, pp. 422-454.