Lo splendido libro di Umberto Neri, Fondatori del monachesimo, cui ho già accennato e del quale proverò senz’altro a scrivere qualcosa, mi ha spinto a rileggere alcuni passi della Regula Magistri, opera anonima dei primi decenni del IV secolo, di probabile origine francese e fonte diretta della Regola di Benedetto da Norcia. La Regola del maestro è divisa in due parti ben distinte. Anzitutto gli Actus militiae cordis, gli «atti della milizia del cuore», la Regola vera e propria che tratta principalmente degli strumenti e del fine della vita monastica («la regola prende il nome dal fatto che ha come fine ciò che è retto»); e l’Ordo monasterii, il regolamento che sancisce in maniera molto particolareggiata ogni aspetto quotidiano della convivenza dei monaci.
Tanto particolareggiata da stabilire, per esempio, il modo in cui deve essere distribuito il pane (con un cestello, dall’alto), o come ci si debba salutare (dirsi addio e darsi la pace), o ancora come vada svegliato l’abate: all’ora stabilita i due fratelli incaricati «si rechino con reverenza al letto dell’abate e, dopo aver recitato silenziosamente una preghiera, dicano quasi tra sé questo versetto: “Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annuncerà la tua lode”. Subito dopo sveglino l’abate tirandogli i piedi. Quando si sarà svegliato invochino insieme Dio. A quelle parole, l’abate si alzi» (cap. XXXII).
Ma il passo che cercavo [mi sono accorto con orrore di non avere un’edizione integrale della Regola del maestro, sicché devo azzardare il riferimento al testo latino, oltre naturalmente a citare Umberto Neri] è quello che riguarda i cattivi pensieri, che per me rappresenta uno di quegli esempi di come i monaci di milleseicento anni fa possano avere qualcosa da dire a me, oggi. Nel capitolo XV si prescrive infatti: «Quando un pensiero cattivo [cogitatum malum] viene nel cuore di un fratello e costui si sente trasportato dai suoi flutti, subito lo confesserà ai suoi decani, e immediatamente essi diranno una preghiera e ne informeranno l’abate». Egli convocherà allora il monaco sofferente e comincerà a leggergli dei testi appropriati, «inoltre, per tutto il tempo in cui questo fratello, interrogato dall’abate, risponderà che [il cattivo pensiero] non è passato, si leggeranno, alla decina dei fratelli alla quale appartiene questo fratello… dei passi dei libri che si riferiscono al bisogno di questo pensiero». Le Scritture e i testi dei Padri sono pieni di esempi per qualsiasi caso e sarà la sapienza dell’abate a guidare la scelta.
In questo modo, a poco a poco, il «problema» del singolo fratello diventa collettivo. Il giorno dopo, infatti, l’abate dovrà chiedere al tormentato: Come va? È passato? «Se risponde che non è cessato, tutti faranno un digiuno completo.» E il secondo giorno verrà eliminato il vino dalla mensa quotidiana, e il terzo oltre al vino si toglierà anche l’olio. «Così, nell’afflizione generale, si conseguirà il rimedio della misericordia divina.»
Ora, i pensieri cattivi di cui parla la Regola del maestro sono le tentazioni che derivano dal demonio, i testi dei Padri e le penitenze sono forse un po’ lontani e gli interpreti più rigorosi inorridirebbero di fronte a una tale analogia, ma non è forse quello che si vorrebbe fare ogni volta che i propri sposi, compagni, amici, parenti, colleghi – tutti quelli che in forme e modi diversi ci sono cari – si dibattono tra i flutti neri del cogitatum malum? Sapere, condividere e patire insieme finché le onde non si sono placate?
Umberto Neri, Fondatori del monachesimo, Piemme 1998.
Posso permettermi di chiedere di quale versione della Regula Magistri dispone Mr. Potts?
Io sono in attesa di questo volume, sul quale ho trovato recensioni di prestigio: http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-non_specificato/sku-747754/regola_del_maestro_.htm
Per essere un testo così citato, mancano mi pare buone edizioni divulgative.
E’ vero, manca un’edizione un po’ più accessibile (anche come prezzo) di quella che stai aspettando, che deriva dalla celebratissima edizione critica francese. Ne ho un breve estratto in traduzione (capp. III-X) in “Regole monastiche antiche”, a cura di G. Turbessi, un volume del 1974, temo di difficile reperimento. Per il resto mi arrangio come posso (male) con la versione della “Patrologia Latina”.
Fondamentalmente i “cattivi pensieri” possono essere di 3 tipi o proviene dalla “carne”, cioé da me e dalle mie cattive inclinazioni oppure sono mediati dal “mondo” ovvero l´esterno, possono essere le occasioni o in ultimo c´é il demonio, che direttamente “sussurra” pensieri o crea situazioni o, nei modi piú fantasiosi in rari casi, si presenta direttamente. Ma il punto che tu metti in evidenza é la solidarietà della comunità monastica: tutti insieme si combatte il male! E direi che questo é molto bello, perché se anche non siamo noi i soggetti diretti che subiscono la tentazione, prima o poi potremmo diventarlo e usufruire della solidarietá altrui.
A pié pagina vorrei dire che i monaci avevano collezioni di testi biblici contro i cattivi pensieri ad es.: http://www.gregoriopalamas.it/evagrio_antirrhetikos.htm
e ancora mi sembra anche evidente che il “confessare” il cattivo pensiero implica l´umiliazione che ha il compito di far fuggire il demonio con la sua tentazione.