Per giunta

Ho letto un altro reportage sui Padri del deserto, quello del simpatico Rufino di Concordia (oggetto di «una doverosa, se pur tardiva, rivalutazione», dice il curatore). C’è molta discussione sulla reale paternità della Historia monachorum che gli viene accreditata, ma ovviamente il testo non perde di interesse per questo. Anche perché è uno dei rari casi in cui viene data notizia delle difficoltà incontrate per andare a intervistare quei «pazzoidi» chiusi in qualche grotta del deserto egiziano. Rufino, che fu in Egitto intorno al 374, riferisce infatti nell’epilogo «dei pericoli del viaggio verso gli eremi». (Nota pifferesca: le citazioni sono ritoccate su uno degli originali latini, visto che la versione italiana appare qua e là un po’ prodiga di «arricchimenti».) Ne fa proprio un elenco.

Che comincia con la «stanchezza mortale», e prosegue con la durezza del terreno, costellato di punte aguzze («umore salmastro» solidificato) che se mettono a dura prova i «buoni sandali», figuriamoci i nudos pedes. E poi le acque stagnanti del Nilo esondato, i predoni dal mare, il vento e infine «l’ottavo, il più grave», e cioè i coccodrilli (crocodili), sdraiati intorno a una pozza nell’ora più calda, perfettamente immobili. «Noi», dice Rufino, «non eravamo a conoscenza della loro maniera di fare [e] ci avvicinammo per vedere e ammirare la dimensione di quelle bestie che ritenevamo morte. Ma bastò lo scalpiccio dei nostri piedi perché esse lo avvertissero, balzassero su e ci venissero addosso.» Invocazione immediata al Signore: i coccodrilli si ributtano nello stagno e «noi ce la demmo a gambe, correndo verso il monastero»…

L’«intervista» più interessante è forse la prima, quella a Giovanni eremita (di Licopoli), di cui scrive anche Palladio nella sua Storia Lausiaca, riferendo le seguenti parole del sant’uomo: «Da quarantotto anni mi trovo in questa cella: non ho visto volto di donna, non immagine di moneta; non ho visto essere umano in atto di masticare; nessuno ha veduto me in atto di mangiare o di bere» (35, 13). Quando Rufino e i suoi compagni si presentano, Giovanni, ormai novantenne, si dichiara molto sorpreso che si siano dati pena di affrontare «un viaggio tanto faticoso» per incontrare proprio lui: «Siamo uomini come tutti gli altri, modesti, insignificanti, che nulla hanno in sé che possa essere desiderato o ammirato». Ma poi parla diffusamente, dilungandosi soprattutto sulle tentazioni, sulla distrazione dei pensieri, sulla tirannia delle passioni, sulla necessità di «svuotarsi» per far posto a Dio.

E infine racconta tre storie, di suoi «colleghi», la prima delle quali è fantastica e narra di un monaco, insuperbito dalla sua santità, che una sera riceve una visita «di una donna di splendido aspetto». È tardi, la giornata è stata dura, lei è molto stanca, teme le bestie feroci (non a torto…): «Consentimi di riposare in un angolino della tua cella». Il monaco, compassionevole, l’accoglie. Iniziano a parlare, com’è come non è, e «il veleno delle moine femminili frattanto prende il sopravvento». Adesso ridono, anche, e la donna «stende la mano a carezzare il mento e la barba veneranda del vecchio; procace, invece che in atteggiamento di venerazione!» E non si ferma, «tum vero palpare cervicem mollius, collumque levigare»…

È inutile tirarla per le lunghe, racconta Giovanni, «fatiche trascorse, propositi di santità, sono tutti dimenticati in un attimo». Siamo a un passo dagli «obscoenos complexus», ed ecco che «quella manda un grido enorme, con voce orrenda, [… e] si sottrae rapidamente all’amplesso di lui; che inseguiva vane parvenze con moti indegni; lo pianta lì in tronco e per giunta con scherno sgradevolissimo». Allora balza fuori la «truppa dei demoni» e si mette a sfotterlo, e il monaco perde la testa. Non si risolleverà più dal colpo; avrebbe dovuto piangere, pentirsi e riprendere a combattere, «ma non fu così»… e si lasciò andare.

Rufino di Concordia, Storia di monaci, a cura di G. Trettel, Città Nuova 1991.

2 commenti

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2 risposte a “Per giunta

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  2. fra Alberto

    …rimango un po´ sconcertato dall´episodio ma anche confermato che la santitá non é opera d´uomo ma dono di Dio.

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