37. Nella quarta delle molto oscure Ottave, datata maggio 1932, Osip Mandel’štam accenna a una specie di «sesto senso» che può essere rintracciato nei recettori di varie specie animali, dai rettili agli esseri unicellulari, e in qualche modo lo avvicina a un simile organo di percezione supplementare che sarebbe dei poeti. L’immagine, oscura ma assai espressiva, è lì, in mezzo a una serie di evocazioni1:
La minima appendice del sesto senso
o l’occhio parietale della lucertola,
i monasteri di lumache e conchiglie,
il parlottio di piccole ciglia scintillanti.
38. Nella molto citata Arpeggi (dalle Poesie del 1936), Vincenzo Cardarelli assegna a un’inattesa, e contraddittoria, figura monastica, nella quale si celerebbe il poeta stesso, una dolente e oggi vagamente polverosa meditazione sull’inconsistenza della vicenda umana. Fremiti d’aria, fuggevoli moti, precario stato, dolce disperazione e conclusivo sciogliersi2:
Il sole è stanco di contemplare
una tanto monotona vicenda.
Così parlava un monaco
neghittoso e bizzarro,
là nell’antico Oriente:
piccol uomo assediato
da immani fantasmi.
39. E infine giusto una parola alla fine di un verso alla fine di una poesia di Bartolo Cattafi. Non capisco benissimo, ma al tempo stesso l’immagine ha una sua strana evidenza e, stiracchiandosi all’interno del modo di dire, produce un senso interessante. La poesia s’intitola Pellecamicia ed è contenuta nella raccolta L’aria secca del fuoco3:
Cellule sfaldabili ad un soffio
aerea stoffa
pellecamicia di serpe
messa al sole con tutti
i suoi disegni d’una volta
che si rinviene in campagna
e nei ricordi
come gli abiti e i monaci smessi.
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- Osip Mandel’štam, Quasi leggera morte. Ottave, a cura di S. Vitale, Adelphi 2017, p. 41.
- Vincenzo Cardarelli, Arpeggi, in Poesie, Mondadori 19588, pp. 139-40.
- Bartolo Cattafi, L’aria secca del fuoco, Mondadori 1972, p. 134.