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Ugo il Grande, abate (Who’s Who, IV)

Ugo di Semur, 1024 ca. – 1109, o.s.b., abate di Cluny per oltre sessant’anni, dal 1049 alla morte. Da bambino andava di nascosto in chiesa e, sempre di nascosto, più o meno a quindici anni, «entrò» all’abbazia borgognona di Cluny, «la più compiuta anticipazione della Gerusalemme celeste» dell’Alto Medioevo. Fece carriera, a venticinque diventò abate e diede grandissimo lustro alla congregazione cluniacense. Grande viaggiatore, indefesso «masticatore» delle sacre scritture, «diplomatico» (fu ad esempio a Canossa in occasione del famoso «Ah, vieni a…»), profeta, fondatore di monasteri e costruttore, operò anche moltissime guarigioni (da vivo e da morto): l’acqua in cui si lavava le mani era ottima contro le infiammazioni, le briciole del suo pane curavano le febbri, mentre le sue preghiere risolvevano praticamente tutto.

Piace, tuttavia (sempre con rispetto), ricordarlo in rapporto al sonno. Più che di sonno, in realtà, al massimo si trattava di «un breve riposo pomeridiano», in cui aveva una visione, oppure di «un breve momento» di assopimento, da cui si riprendeva subito con un’altra visione. D’altra parte «era il suo corpo a dormire, perché restavano vigili la sua santità e i suoi meriti». Infatti, anche di notte, «nel sonno rimuginava dentro di sé gli argomenti cui si era dedicato da sveglio». Quando poi dormiva un po’ più profondamente veniva disturbato, ovviamente, da un sogno «di serpenti e di bestie»: sicché si destò e «scosse immediatamente il cuscino per controllare cosa vi fosse sotto, e scoprì un libro di Virgilio Marone finito lì per caso. Non appena ebbe tolto quell’opera profana poté dormire tranquillo».

Una sola volta gli capitò di addormentarsi profondamente, molto profondamente. Si trovava a Berzé-la-Ville, e stava riposando «in una stanzetta attigua alla chiesa». Scoppiò un temporale, «accompagnato da tuoni, caduta di pietre e grandine», e a un certo punto un fulmine incendiò l’edificio. Lui, niente: «quell’uomo giusto riposava tranquillo in mezzo alle fiamme». Gli altri confratelli scapparono, e qualcuno cominciò già a piangere la triste sorte dell’abate. L’incendio si estese, «intorno al suo letto», ma le fiamme non osarono toccarlo, anzi, dopo aver divorato tutto, si allontanarono, sospinte lontano dalla carità – «e lasciamolo dormire, una volta tanto…»

(La Vita di sant’Ugo abate di Cluny, del monaco Egidio, si può leggere in Ugo abate di Cluny, Europìa 1992.)

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