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Abbazia di Pluscarden, una visita

(Foto Potts)

Durante il viaggio in Scozia che abbiamo fatto questo mese, siamo andati a visitare l’abbazia benedettina di Pluscarden, nei pressi di Elgin (diocesi di Aberdeen), perché è l’unica in tutta la Gran Bretagna ancora attiva nella sua sede originaria. I monaci vi sono rientrati nel 1948, dopo quasi quattro secoli di abbandono, e i lavori di ricostruzione sono ancora in corso… ma queste sono tutte informazioni che si possono trovare sull’esauriente sito dell’abbazia.

La strada per giungervi (una «single track road» come tante in Scozia) sembra fatta apposta per creare la giusta aspettativa e introdurre all’atmosfera di ritiro dal mondo, alla potente carica di pace, raccoglimento e meditatività del luogo. L’ultimo, breve tratto si compie a piedi, per ritrovarsi improvvisamente di fronte al complesso abbaziale e pensare ancora una volta a come i monaci sapessero scegliere con sapienza i luoghi.

La visita vera e propria è limitata ai due transetti della chiesa e a due cappelle collegate, dalle quali si può gettare uno sguardo al coro. Poco distante, si può entrare anche nel cimiterino ombreggiato.

(Foto Potts)

Nell’ordine abbiamo incontrato un anziano monaco, che si è eclissato nell’edificio principale camminando molto faticosamente, un giovane confratello seduto all’organo, intento a provare qualche brano, e un monaco giardiniere che rasava il prato a bordo di un trattorino. Naturalmente siamo andati allo shop, dove ho preso un medaglietta di san Benedetto (ne ho un certo numero), un vasetto di balsamo antidolorifico al miele, un cd di canto gregoriano con la liturgia di san Columba cantata proprio dai monaci di Pluscarden e tre volumetti. Tre di quei tipici esempi di pubblicazioni monastiche difficili da trovare nei circuiti normali e di cui sono molto ghiotto.

Anzitutto un numero (il 157, datato «Quaresima 2012») di Pluscarden Benedictines, il notiziario dell’abbazia, dove tra le altre cose si può leggere un estratto degli «Annals» (novembre 2011 – gennaio 2012), redatti da brother Matthew e in cui sono riportati fatti di diversa importanza e trovano spazio anche notazioni lievi, ma non per questo meno significative. Il 7 dicembre, ad esempio, è nevicato: pochi centimetri nella valle «which now looks very beautiful»; il Natale è passato felicemente, e il giorno di Santo Stefano «we had our usual steak and kidney pie for lunch»; al primo del nuovo anno, durante la ricreazione serale (Guadeamus) «we watched For a Few Dollars More [Per qualche dollaro in più], which we all enjoyed»; e poi le partenze, gli arrivi, le visite, i lavori e, evento cruciale di inizio anno, l’introduzione del nuovo orario (un articolo apposito informa che l’importante novità è stata oggetto di una «extensive consultation, in which every monk in solemn vows was free to  make any comment or suggestion he liked», dopo la quale il consenso è stato unanime).

Il secondo acquisto è stato un album fotografico, In This Place I Will Give Peace, che racconta per immagini i nuovi primi cinquant’anni dell’abbazia (1948-1998). I documenti visivi dei lavori di restauro e vera e propria ricostruzione, e delle cerimonie ufficiali, sono intervallati da ritratti di monaci che sono vissuti e morti o sono tuttora viventi nell’abbazia. Per la maggior parte sono immagini non premeditate e spesso commoventi, che trasmettono con evidenza quel senso di particolare attaccamento fisico e spirituale che una comunità monastica può generare nei confronti del luogo nel quale ha pronunciato il voto di stabilità: dom Benedict alle prese con le sue api, br. Dronstan sorridente con un martello pneumatico in mano, br. Michael tutto contento alla macchina per cucire e dom Edmund «in his beloved greenhouse».

Infine Our Purpose and Method dell’abate Aelred Carlyle, figura complessa del monachesimo britannico e fondatore nel 1895 della prima comunità benedettina anglicana (dalla quale, dopo il passaggio al cattolicesimo, deriverà la comunità di Pluscarden). Un documento interessante, al quale probabilmente dedicherò qualche nota a parte.

Dimenticavo la nota di colore. Mentre eravamo allo shop è entrato un monaco e, giocoforza, abbiamo scambiato due parole, very benedictine e very british. Come mai siete venuti proprio qui, dove siete diretti, che splendida giornata, ecc. Da dove venite? Italia, Milano? «Ah, ci sarebbe piaciuto che Armani ci disegnasse il saio, ma non poteva…»

(Oltre alle molte immagini presenti sul sito, si può vedere anche questo breve montaggio di presentazione dell’abbazia.)

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