L’accuratissima monografia di Ambrogio Piazzoni (un bel volume austero, a cominciare dalla veste tipografica, e che ho dovuto leggere munito di tagliacarte, essendo ancora intonso, cosa che, quando capita, meno raramente di quanto non si pensi, produce in me anche un certo deprecabile autocompiacimento, tra l’altro per il fatto di avere, tutt’oggi, un tagliacarte) mi ha permesso di avere un’idea un po’ più precisa della figura di Guglielmo di Saint-Thierry, nato a Liegi, cresciuto alla fede da studente presso la scuola cattedrale di Reims (nel primo decennio del XII secolo), vissuto monaco (e abate) benedettino (più o meno dal 1109 al 1135), morto monaco cisterciense (dal 1135 al 1148), forse col desiderio di «spostarsi» ancora, dai certosini («monaco-sempre-più-monaco», lo definisce Piazzoni). Precisa, insomma… Diciamo che l’ho incontrato molte volte nelle poche letture fatte, soprattutto in relazione a san Bernardo, e grazie a questo saggio1 ho aggiunto come si dice qualche tessera al mosaico. (Che poi qui cos’è se non un mosaico, talvolta davvero troppo informe?)
Il percorso biografico dice molto della personalità e dello sviluppo del pensiero di Guglielmo, e inoltre, come evidenzia subito l’autore: «La sua vita sembra riassumere, rappresentare e a volte precorrere la fase evolutiva vissuta dall’intero monachesimo nell’arco del secolo XII, certo uno dei più travagliati e decisivi della sua storia». Dove per «fase evolutiva» s’intende vera e propria crisi, crisi dell’ideale monastico, nel momento in cui Cluny raggiunge il suo apice e al tempo stesso un nuovo eremitismo e un movimento di ritorno alla Regola cercano di porre rimedio ai suoi «eccessi»: «Entrambi i tentativi, però, si mostrarono insufficienti. […] Le nuove istanze di tipo religioso infatti avranno una loro più puntuale risposta fuori dall’esperienza monastica, nei movimenti ereticali, in Domenico e soprattutto in Francesco; in questo senso si è potuto parlare di “fine del monachesimo” nel secolo XII». Di tutto ciò Guglielmo è un po’ l’emblema.
Un emblema «gentile», per quanto possa avere senso una formula del genere, che piace immaginare sempre preoccupato di quello che accade nel passaggio dalla teoria alla pratica. Dopo gli studi non superficiali, di cui comunque farà tesoro nella sua attività di scrittore, invece di dedicarsi a una prevedibile carriera di professore «scolastico», decide di farsi monaco benedettino; non è un gran viaggiatore, non lo sarà mai, e sceglie una fondazione non collegata a Cluny (Saint-Nicaise), prova a passare ai cisterciensi (dissuaso da Bernardo), ma finisce abate di Saint-Thierry, monastero che seguiva le consuetudini di Cluny; amante dello studio e della contemplazione, svolge un ruolo concreto di organizzatore del movimento riformatore sorto intorno ad alcuni capitoli degli abati benedettini della provincia di Reims, tenutisi tra il 1131 e il 1135 («Noi dichiariamo che abbiamo giurato non sulle consuetudini cluniacensi, ma sulla legge e sulla Regola di san Benedetto!» scrive nel 1132 in uno dei documenti emersi da quegli incontri); cauto e superprudente nell’esprimere le proprie non rimasticate opinioni, e finisce con lo scatenare Bernardo contro Abelardo, probabilmente al di là delle sue stesse intenzioni («Io gli ho voluto bene, e vorrei volergli bene»), rendendosi in qualche misura corresponsabile del «fattaccio di Sens»: la condanna e la scomunica di Abelardo del 1140.
Lo studio di Ambrogio Piazzoni ricostruisce questo percorso, seguendo parallelamente la stesura delle opere, dal De contemplando Deo e il De natura et dignitate amoris, all’Epistola ad fratres de Monte Dei (la cosiddetta Lettera d’oro ai certosini, il suo capolavoro), alla Vita Bernardis Claraevallensis abbatis, che, pur incentrata ovviamente su Bernardo, e pur incompiuta per la morte di Guglielmo, finisce «col divenire quasi un bilancio che l’autore traccia della propria vita». Un bilancio da cui traspare il senso, certo non di una sconfitta, tuttavia della consapevolezza dei limiti dell’ideale monastico, incarnato da Bernardo, amato e riaffermato da Guglielmo, radicalizzato dai certosini, ma forse non più l’unico a disposizione del cristiano che voglia seguire Gesù.
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- Ambrogio M. Piazzoni, Guglielmo di Saint-Thierry. Il declino dell’ideale monastico nel secolo XII, Istituto storico italiano per il Medio Evo 1988.


