D’altra parte lo dice lui stesso, proprio nelle prime righe, in cui, pur facendo appello all’«amico lettore», afferma che questo libro «l’ho scritto anzitutto per me, per narrare a me stesso le meraviglie che il Signore ha compiuto nella mia esistenza». Ed è questa l’impressione primaria che ho tratto dalla lettura di Una solitudine ospitale di Frédéric Vermorel1, nato in Francia nel 1958 e approdato quarantacinque anni dopo all’eremo di Sant’Ilarione, da lui restaurato, nella diocesi calabrese di Locri-Gerace, dove conduce una «vita semieremitica» intessuta di silenzio e solitudine, ma aperta agli ospiti, ai visitatori, al territorio, agli esseri viventi circostanti e al mondo.
Un’impressione resa ancora più forte dalla forma adottata da Vermorel, quella cioè di un montaggio non cronologico di brani tratti dal proprio diario (iniziato nel 1970) e intervallati da commenti e riflessioni al presente. E se il lettore incontra qualche difficoltà a «seguire il filo» di una vicenda spirituale ed esistenziale, che prende le mosse dalla comunità ecumenica di Taizé per toccare il Sahara di Charles de Foucauld, la comunità dell’Arca di Jean Vanier, la comunità monastica di Santa Maria delle Grazie a Rossano Calabro (un capitolo delicato e doloroso), il monastero benedettino di Goiás in Brasile, e ancora l’Istituto di Studi Teologici dei gesuiti a Bruxelles, il monastero di Marango a Caorle… appunto, l’effetto è quello di restituire quasi il meccanismo stesso della memoria, che a voltarsi indietro mostra contemporaneamente quadri e frammenti che si sovrappongono e s’intrecciano al presente, e vengono riletti e ricombinati, e si richiamano, si illuminano o sfumano in una progressiva oscurità.
Sono spesso colpito da quelle vicende nelle quali l’«itinerario alla ricerca di se stessi» va in parallelo a un viaggio reale, come se il proprio io autentico, ammesso che esista e che lo si riconosca, possa essere trovato solo in un luogo preciso. Oppure, per usare una formula più consona al libro, come se la «volontà di Dio» possa essere ravvisata alla fine di un pellegrinaggio geografico. Il suggerimento che viene dal testo di Vermorel è che forse più che attraverso una serie di luoghi (sull’«idolatria» dei quali l’autore infatti mette in guardia), il pellegrinaggio vada condotto attraverso una serie di incontri con gli altri, con l’«altro», cioè con Gesù. E di altri nel libro ce ne sono così tanti, così tanti…
In questo senso, in effetti, il libro di Vermorel racconta la storia di un continuo sradicamento: da luoghi, situazioni, affetti, amicizie, progetti, da tutto – a esclusione forse di una sola «cosa», cioè da se stessi.
Lo do sempre per scontato, ma credo sia giusto precisare che qui sto parlando di un libro che è stato pubblicato e che ho letto, e non di una persona, che non conosco e che non si sovrappone al libro che ha scritto. Dunque, al di là del complesso e privato criterio di scelta dei brani trascritti dai propri diari2, forse il merito maggiore del libro sta proprio nell’onestà e nel coraggio con i quali Vermorel si espone al lettore, ripercorrendo le proprie esperienze e mostrando il succedersi dei propri pensieri su se stesso e sul proprio cammino. E forse proprio in quella autodefinizione di «eremita contemporaneo» del sottotitolo si trova un indizio, là dove la ricerca di sé, ammesso che abbia ancora un senso, è comunque un percorso, ammesso che si ritenga necessario intraprenderlo, solitario pur in mezzo a una folla di amici, compagni di strada, guide e maestri, ammesso che esistano. La «nostalgia di comunità» che mi è sembrato di cogliere lungo tutto il testo si scontra in qualche misura con l’attaccamento a una «storia personale», che la contemporaneità inevitabilmente frantuma, attaccamento che forse rimane tale anche quando si accompagna – per non dire si nasconde – all’insistita domanda rivolta al Signore di illuminare e dare un segno della Sua volontà: «Cosa vuoi che io faccia, Signore?»
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- Frédéric Vermorel, Una solitudine ospitale. Diario di un eremita contemporaneo, prefazione di G.M. Bregantini, Edizioni Terra Santa 2021.
- Su questo aspetto è molto significativo il fatto che in uno dei momenti di maggior tensione spirituale, su richiesta di un consigliere spirituale della comunità di Rossano, Vermorel distrugga una serie di diari, «per obbedienza e [per] offrire un palese segno della mia disponibilità a perdonare e riprendere il cammino comunitario». Ne distrugge un po’, ma non tutti.