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Nuditas (Definizioni 2; la vita monastica)

«È con Adamo che appare la prima nudità», scrive la rabbina francese Delphine Horvilleur. «Per “tenuta adamitica” si intende la condizione di chi non indossa nulla. Ma Adamo non è soltanto il primo uomo di cui è descritta la nudità, è anche il primo la cui nudità viene coperta, il primo a farsi un vestito. La Genesi fa di lui il primo uomo disturbato dalla nudità al punto da scegliere di ricoprirla.» Dopo la «fatal disobbedienza», Adamo ed Eva si accorgono «di essere nudi», se ne vergognano e si nascondono. Compare prima la vergogna che la colpa, ci ricorda ancora la rabbina, quella vergogna «che è essenzialmente una sensazione di scissione da sé o dal gruppo il cui sguardo minaccia di disgregare il soggetto».

Nudità, vergogna, scissione. Alla luce di questo breve spunto (tratto da un libro ben più ricco e assai interessante1), un ancor più breve testo, una brevissima poesia, un haiku del cardinale José Tolentino Mendonça assume una dimensione oserei dire «smisurata». Sono quindici parole (quattordici nell’originale portoghese) tratte da un libro2 «pieno di spazi vuoti», che si aprono in continuazione al pensiero, e che mi pare rappresentino una sintesi mirabile, ancorché non pronunciata da un monaco o da una monaca, dell’«oggetto plurimillenario» di cui si prova a capire qualcosa qui.

Dicono così:

La vita monastica

è una nudità

che non ha vergogna di sé stessa.

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  1. Delphine Horvilleur, Nudità e pudore. L’abito di Eva, traduzione di L. Marino, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose 2021 (le citazioni sono alle pp. 40 e 53).
  2. José Tolentino Mendonça, Il papavero e il monaco, traduzione di T. Bartolomei, prefazione di L. Bolzoni, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose 2022 (la citazione è a p. 78).

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