«Benché, dico, così dannata e disperata» (Dice il monaco, LXII)

Dice Bernardo di Chiaravalle, monaco e abate cisterciense (1090-1153), verso la fine dei suoi mirabili Sermoni sul Cantico dei cantici:

Ogni anima, benché onerata dai peccati, irretita dai vizi, presa dalle seduzioni, prigioniera in esilio, carcerata nel corpo, aderente al fango, infissa nel limo, affissa alle membra, trafitta dalle cure [infixam limo, affixam membris, confixam curis], distratta dagli impegni, contratta dai timori, afflitta dai dolori, vagante fra gli errori, ansiosa per le preoccupazioni, inquieta per i sospetti, e insomma forestiera in terra  di nemici, secondo la frase del Profeta, contaminata con i morti [coinquinatam cum mortuis], collocata fra quelli che sono nell’inferno; benché, dico, così dannata e disperata… può avvertire in se stessa non solo da dove possa respirare nella speranza del perdono, nella speranza della misericordia, ma anche da dove osi aspirare alle nozze del Verbo, senza trepidazione di entrare in un patto di alleanza con Dio, né timore di portare il soave giogo dell’amore con il Re degli angeli.

♦ Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei cantici, introduzione di J. Leclercq, traduzione e note di C. Stercal, con la collaborazione di C. Dezzuto, M. Fioroni e A. Montanari («Opere di San Bernardo» V/2), Città Nuova 2008, LXXXIII, I, p. 603. (Devo la citazione ad André Louf, che di sicuro aveva anche piena fede nella sua verità.)

 

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