44. Nella raccolta di Carlo Betocchi Un passo, un altro passo, del 1967, ci sono due riferimenti diretti alle cose monastiche. Il primo si trova nella poesia In Cividale (nella sezione Di tarlo in tarlo) e cita, con qualche licenza, le «sei immani figure regali e di santi» che i monaci avrebbero aggiunto al tempio di origine longobarda e che sin d’allora ammoniscono chi passa e getta lo sguardo «alla dolce curva del fiume [il Natisone] amorosa del suo strapiombo». Con qualche licenza, non di carattere topografico, bensì di identificazione, poiché le sei figure a rilievo cui Betocchi fa riferimento sono in genere considerate di Martiri e di Sante.
Il secondo, più diretto, è nella dedica del testo che chiude la raccolta, In val Tiberina a tempo di piena, che recita: «Alla preghiera e passione dei religiosi degli ordini contemplativi». La poesia sviluppa una distesa metafora, subito esposta: «Beato l’argine che contiene il corso / del torrente o del fiume, e difende / la ricchezza dei campi: beata / la sua pazienza erosa e linearità, / la monotonia della sua preghiera». È una lunga perorazione della vita monastica, votata, appunto, ad arginare, con «la tranquilla fiducia del suo limite», il tumulto della altrui vita, che talvolta esonda «ristabilendo il suo morto disordine»; un ammirato omaggio di chi, pur simile ai suoi simili («della stessa terra di ciò che difende»), «per sé ha scelto la sterilità / del suo esistere contemplativo / consolato da lunghe erbe, / senz’altro premio per l’altrui salvezza». Un omaggio di quelli che non di rado i laici offrono per partecipare in qualche limitata misura, anche solo verbale, a quella scelta di vita di cui sentono il richiamo intellettuale. È peccato veniale, che conosco fin troppo bene, e credo che i monaci e le monache non se ne siano adontati, in particolare nel caso di Betocchi.
Ma c’è un testo, in questa raccolta carica di faticosa e ostinata religiosità, che, pur senza citazioni dirette, mi pare si possa dire profondamente monastico, quasi fosse pronunciato a se stesso da un benedettino durante l’ora mattutina di lectio divina al pensiero dell’imminente giornata in comunità. È la poesia 5 della sequenza In piena primavera, pel Corpus Domini1:
La tua mente illusoria rifiutala
se non ha altri argomenti che te:
e il tuo cuore, se non ha che i tuoi
lamenti. Non avvilirti
compassionandoti. Sii non schiavo di te,
ma il cuore di ciascun altro: annullati
per tornar vivo dove non sei
più te, ma l’altro che di te si nutra,
distinguilo dal numeroso,
chiama ciascuno col suo nome.
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- Carlo Betocchi, «La tua mente illusoria rifiutala», in Un passo, un altro passo, Mondadori 1967, pp. 121-22.
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