Dice Bernardo di Chiaravalle, santo abate cisterciense, intorno al 1140:
In realtà queste regole [monastiche] sono state inventate e istituite, non perché non fosse lecito vivere altrimenti, ma perché è meglio vivere in questo modo, non avendo altro fine se non il vantaggio e la difesa della carità. In quanto sono, dunque, al servizio della carità, sono prescritte come immutabili e in alcun modo, neppure dai superiori, possono essere modificate senza peccato. Se poi, tuttavia, dovessero in qualche occasione apparire contrarie alla carità, a chi è data la facoltà di giudicare è affidato ugualmente il compito di provvedere: non è forse un evidente principio di giustizia, che le regole istituite per la carità, al momento opportuno, siano omesse o sospese, o magari trasformate in qualcosa di meglio, se la carità stessa lo richiede? Così pure, al contrario, sarebbe evidentemente iniquo, se un’istituzione, il cui unico scopo è la carità, fosse mantenuta contro la carità stessa. Conservano perciò costantemente, anche presso i superiori, la loro indiscutibile immutabilità quelle regole, che derivano da un obbligo stabile, ma solo nella misura in cui sono al servizio della carità. Del resto, sono forse il solo a pensarla in questo modo, o il primo a parlarne…?
Devo il richiamo su questo passo molto significativo a L’arte della vita comune di Cecilia Falchini, «lettura spirituale della Regola di Benedetto» di grande interesse, cui dedicherò presto qualche nota.
Bernardo di Chiaravalle, Il precetto e la dispensa, II, 5, in Trattati, Opere di San Bernardo I, a cura di F. Gastaldelli, Scriptorium Claravallense / Fondazione di Studi Cistercensi / Città Nuova 1984, p. 509 (trad. di M. Cristiani).
Grazie per questa bella sottolineatura
Buon Natale
Ringrazio io, ancora una volta, per l’attenzione, e ricambio gli auguri.