Di tutti gli spazi monastici, il chiostro è quello per il quale ho sempre provato l’attrazione maggiore. Sono sicuro di essere in vasta compagnia: per i laici, per i non credenti curiosi, e diciamo anche per i turisti, il chiostro è quasi il simbolo del monastero, il luogo che pare celare più degli altri il segreto del perché ci piace visitare le abbazie.
Quante volte mi sono seduto e, rivolgendomi a chi era con me, ho detto: «Qui potrei trattenermi un eone». Non soltanto per la pace e il silenzio, che pure sono aspetti non secondari, né solo per quella singolarità architettonica che permette la compresenza di luce piena e semioscurità (soprattutto in ambiente mediterraneo) e di «aperto» e «chiuso». Credo che il motivo principale della mia attrazione sia la nostalgia, qualunque possa essere il contenuto di questo sentimento, diverso per ciascun individuo che compia anche una breve sosta in quel quadrato magico1.
Quale sia il contenuto della mia nostalgia non è importante, ben più significativa è la riflessione che al chiostro dedica p. Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, in coda a una «meditazione tenuta a un corso di formazione per clarisse professe solenni nell’aprile 2015»2. Nonostante la sua brevità, il testo, quasi nascosto e intitolato Il chiostro monastico, spazio dell’attesa, è molto denso e apre prospettive interessanti.
«Il chiostro nel monastero», esordisce p. Lepori, «è uno spazio superfluo, uno spazio creato dal ritirarsi di altri spazi; uno spazio superfluo creato dal ritirarsi di spazi “utili”». Struttura di raccordo tra la sala capitolare, il refettorio, la biblioteca, la chiesa, il chiostro distende la sua apparente «inutilità» al centro del monastero e ne diventa, paradossalmente, il cuore. «Spazio inutile, spazio perduto», continua p. Lepori, perduto come il Paradiso terrestre da cui l’uomo si è esiliato. Il chiostro diventa allora il simbolo di questo Eden perduto e si fa reale simulazione («spazio virtuale ante litteram») di un concetto teologico e biblico: «Questo giardino è nel cuore dell’uomo. Il giardino perduto è la nostalgia essenziale del cuore dell’uomo. […] Nel chiostro il monaco riascolta l’eco del pianto di Adamo che dalla notte dei tempi riemerge in ogni cuore umano».
Ecco che la nostalgia riemerge anche nelle parole dell’abate generale, che si inoltra poi lungo un sentiero sul quale non sono in grado di seguirlo. Il chiostro, infatti, è al tempo stesso luogo di assenza, attesa e desiderio e luogo del ritorno e della Presenza. Il chiostro, intorno al quale si snoda la giornata monastica e lungo il quale il monaco si muove avanti e indietro, «è lo spazio destinato a un cammino», reale e figurato, il cammino della croce (p. Lepori ricorda, tra l’altro, che in tedesco chiostro si dice proprio Kreuz-gang, «cammino della croce»), sul quale si misura la «distanza tra l’abisso della miseria umana e l’abisso della Misericordia divina».
È di clamorosa importanza per i monaci e le monache ciò che lì accade ogni giorno. «E pian piano», conclude l’abate, «tace il rumore dei nostri passi nel chiostro. Il monaco, l’uomo, si ferma, ascolta. I passi di Dio!»
Qualcuno si ferma, ascolta, non sente niente. Nondimeno resta lì, si volta verso chi lo ha accompagnato e sorride.
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- Né si può dimenticare la nostalgia del chiostro che tanti monaci chiamati alla vita attiva hanno confessato, da Bernardo di Chiaravalle a Ildefonso Schuster.
- Mauro-Giuseppe Lepori, I tempi e i luoghi della nostra forma di vita, in «Forma Sororum» 54 (2017), n. 3, pp. 137-51.
Stupenda descrizione del chiostro e della nostalgia reale che esso suscita in chi ammaliato sosta anche per pochi istanti sotto qualche arcata…emozione provata più volte e tuttora mi anima nel desiderio di dimorarvi stabilmente in quest’ultimo tratto della mia vita tutta dedita al silenzio, al deserto, alla preghiera per accogliere lo Spirito e seguirne i dettami nel totale abbandono a lui non conoscendo “né da dove viene, né dove va…”.
Grazie per l’attenzione e per il commento.